Tensione continua tra gli alleati di governo al vertice sul Recovery plan. Da un lato, Italia Viva avanza con forza le sue richieste, lancia l’ennesimo ultimatum e per bocca della ministra Bellanova avverte: “Il premier dovrebbe prendere atto che questa esperienza è al capolinea”. Dall’altro, il resto della maggioranza, insieme a Conte, chiede di stringere i tempi. “La situazione del paese non tollera rinvii – afferma il segretario del Pd, Nicola Zingaretti -. E’ un passaggio fondamentale per gli sviluppi del governo che noi sosteniamo con la massima lealtà”. Il tutto, però, continua a giocarsi sul filo del rasoio e a rendere ancora più delicato è il quadro internazionale, a partire dalla situazione che si è creata negli Usa dopo i gravi fatti di Capitol Hill. Il governo Conte 2, infatti, è nato con la benedizione delle capitali europee e ha ricevuto il, forse decisivo, endorsement di Trump con il famoso “Giuseppi” tweettato dall’ex presidente Usa, che tra pochi giorni sarà sostituito alla Casa Bianca da Joe Biden, di cui Matteo Renzi, il leader di Italia Viva, si dichiara “molto amico”. Coincidenze politiche che potrebbero accelerare la crisi di governo? Con quali esiti? E la poltrona di Conte rischia davvero di saltare? Ne abbiamo parlato con Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione ed ex commissario dell’Agcom.



La crisi sembra avvicinarsi e c’è ovviamente un piano tutto italiano, interno, ma ne esiste un altro che si sviluppa lontano da Roma, nelle capitali dei nostri principali alleati. In questo contesto la crisi di governo si decide anche a Washington?

La mia impressione è che oggi Washington abbia priorità più urgenti. Naturalmente ci sono pezzi dell’amministrazione americana che guardano con attenzione all’Italia e hanno una propria agenda. Comunque in questo contesto non c’è solo Washington. Noi negli ultimi anni siamo stati all’interno della sfera d’influenza della Germania, in misura molto profonda.



Questa sfera d’influenza continua a esserci?

Sì, e c’è pure la preoccupazione per l’inconcludenza del governo Conte che non riesce a definire un piano nazionale di riduzione dei debiti: il debito cioè aumenta e l’uso che se ne fa non è per nulla efficace. Credo che se si arriverà a una decisione sulla nostra crisi dall’esterno non può che avvenire da un confronto fra stati Uniti e Germania, che hanno al momento molti argomenti su cui confrontarsi.

E che cosa dobbiamo aspettarci da questo confronto fra Washington e Berlino?

Mi sembra chiaro che il governo Conte 2 non è soddisfacente per l’attuale nuova amministrazione americana e la mia sensazione è che la sua vicenda politica sia arrivata al capolinea. Da questo a capire come si concluderà la crisi ce ne passa, anche perché su un eventuale accordo tra americani e tedeschi si metteranno di mezzo, per contrastarlo, varie forze, sia interessi nazionali sia interessi di potenze diverse da Usa e Germania. La conclusione, dunque, non è affatto scritta.



Ma c’è una possibile soluzione?

La soluzione più logica alla fine del Conte 2 sarebbe un governo Draghi, però presenta una controindicazione molto forte.

Quale?

Riduce gli spazi di manovra di tutti gli attuali attori politici. Se entra in campo Draghi la centralità strategica e i benefici di cui finora hanno goduto M5s e Pd si riducono di molto. Ciò non mancherà di suscitare ampie operazioni di disturbo da parte di molte istituzioni.

Istituzioni politiche e non?

Direi soprattutto partiti, fazioni di partiti e anche istituzioni amministrative. La debolezza politica di quest’ultimo anno ha lasciato spazio a una quantità di attori. A parte virologi e Comitato tecnico scientifico, dentro all’amministrazione c’era molta indipendenza, che una forte presa politica, come è immaginabile sia quella di Draghi, andrebbe a toccare e limitare.

L’ipotesi Draghi potrebbe essere oggetto di confronto anche fra Stati Uniti e Germania? E potrebbe essere vista di buon occhio?

Gli Stati Uniti non sono un’entità unica, sono la sommatoria di molti centri di potere. Per alcuni certamente sì, per altri forse meno.

Con l’amministrazione Biden, i più in difficoltà, viste le loro simpatie cinesi, saranno i Cinquestelle?

Quando parla dei populisti, Biden parla degli amici dei cinesi. Se passa un’operazione americana, avrebbe come principale effetto quello di ridurre l’influenza dei Cinquestelle e di costringerli a un’altra delle loro tante giravolte e revisioni.

Renzi ha sempre rivendicato il suo forte legame con Obama e con lo stesso Biden. Lei ha giustamente osservato che “se si guardano i tempi della crisi, Renzi ha cominciato a bombardare Conte appena si è saputo della vittoria di Biden. Renzi ambisce a essere il principale riferimento americano nell’attuale fase politica? E potrebbe diventarlo, magari ai danni dello stesso Pd?

Renzi ha governato l’Italia mentre in America era al potere la seconda amministrazione Obama. E’ evidente che qualche legame esista. Dall’Italia è transitata l’operazione del Russiagate, che era un tentativo di creare grossi problemi a Trump. Renzi è un attore che ha buone carte in mano da giocare in questa fase e le sta giocando, cercando di mettere in difficoltà Conte, che sul Russiagate si è schierato con Trump. Va considerato anche questo risvolto delicato.

Come spiega l’ostinazione con cui Conte vuole tenersi stretta la delega ai servizi segreti?

Credo che nel rapporto con l’America il presidente del Consiglio abbia fatto valere l’azione dei servizi segreti.

Con la Brexit e con il cambio di amministrazione alla Casa Bianca, che ruolo si ritaglierà l’Italia agli occhi dell’America?

L’Italia avrebbe molte chance di diventare un interlocutore importante per gli americani che in Europa hanno un rapporto complicato con i tedeschi e un rapporto non semplicissimo con i francesi, che in questo momento sono in concorrenza con i tedeschi. L’Italia, se ripulisse il legame con la Cina e desse prova di stabilità con un nuovo governo, avrebbe molto spazio per instaurare un rapporto dentro la zona euro con gli Usa.

(Marco Biscella)