Caro direttore,
osservare dall‘Italia gli sviluppi della crisi politico-istituzionale negli Usa spinge a cercarne addentellati e riflessi in Italia. Anche a Roma è in corso una crisi politica all’interno di una crescente problematicità istituzionale. E’ virtualmente al capolinea – almeno nella sua fisionomia attuale – il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte. All’esito del ribaltone dell’estate 2019, il nuovo esecutivo è stato battezzato “governo Orsola” dal suo mastermind Romano Prodi, ex premier della sinistra democratica e soprattutto ex presidente della Commissione Ue tuttora dominata da Ppe e Pse.
La vulgata mediatica ha però subito appiccicato al Conte-2 anche l’etichetta di “governo Giuseppi”: dal pesante e forse risolutivo tweet di endorsement firmato personalmente dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Forse val la pena di rammentarlo, quando la tweet machine di Trump è stata decisiva, negli ultimi giorni a provocare ciò che i media di tutto il mondo hanno definito – con qualche ragione – un quasi tentativo di golpe a Washington, senza precedenti in due secoli e mezzo di democrazia Oltre Atlantico. La maggioranza M5S-Pd-Leu in Italia è stata partorita – ai limiti dell’interferenza – dallo stesso forcipe che ha messo al mondo e poi incitato i proud boys all’assalto “para-golpista” del Campidoglio americano.
Può essere secondario, ma non inutile, ricordare quello che si è appreso poi essere stato l’interesse concreto e immediato dei Trump a puntellare Conte a Palazzo Chigi: un’inedita missione – avvenuta proprio nei giorni della crisi di governo in Italia – da parte del segretario alla Giustizia americano, William Barr. Quest’ultimo era alla ricerca – presso i servizi d’intelligence italiani – di elementi utili a provare interferenze russe (forse transitate da ambienti politici europei vicini ai dem Usa) ai danni del candidato Trump nella campagna 2016 (il cosiddetto “caso Milfsud”, scampolo italiano del Russiagate in Usa). Quel che è certo è che Conte – titolare diretto della delega ai servizi segreti – ha ricevuto Barr a Ferragosto 2019, assieme ai vertici operativi dei servizi. Un passaggio per il quale il premier ha poi dovuto riferire al Copasir, preoccupato per possibili commistioni irrituali fra sfera politica e attività degli apparati di sicurezza.
Un secondo spunto di riflessione nasce invece direttamente delle immagini – alla fine più grottesche che drammatiche – degli irriducibili trumpiani all’interno di Capitol Hill. I titoli dei media americani hanno usato l’espressione ordinaria storm: “assalto”. In realtà da anni il codice politico-mediatico italiano ha coniato uno slang più specifico: “aprire il Parlamento con l’apriscatole”. L’autore ne è stato il fondatore di M5S Beppe Grillo ed è stato seguendo questo grido di battaglia che un movimento populista per eccellenza – con molte affinità con il trumpismo antagonista dell’America profonda – è diventato il primo partito italiano, conquistando nel 2018 un terzo del Parlamento. peraltro democraticamente (come del resto Trump nel 2016).
E’ in virtù di questo mandato essenzialmente “antipolitico” (e apertamente “anti-parlamentare”) che M5S governa l’Italia da oltre due anni e mezzo, avendo due volte indicato a Palazzo Chigi “Giuseppi” Conte: alla fine più gradito a Trump che ai leader europei anti-leghisti. Ed è la continuità pentastellata ad aver contraddistinto una fase politica che ha visto, non da ultimo, una riforma punitiva del Parlamento: peraltro votata a larga maggioranza dallo stesso Parlamento “grillino” e poi confermata da un referendum popolare. E questo è avvenuto, per coincidenza, nell’escalation della crisi-Covid, a sua volta connotata dall’esercizio di “pieni poteri” da parte del premier: senza precedenti nella democrazia italiana, a crescente sospetto di anomalia e ora destinati a prolungarsi fino al luglio prossimo, cioè a un arco ultimo di diciotto mesi.
Se c’è un Paese dove sembrano esserci pochi spazi per narrazioni e retoriche “democrazia vs golpe” questo è certamente l’Italia. Dove. certamente – sarebbe invece salutare chiarire “chi è chi” nel gennaio 2021: chi a Roma è più “democratico” e chi più “golpista” alla luce del turbolento – e sicuramente preoccupante – trapasso di poteri a Washington. Applaudire il “ritorno alla democrazia” nell’America di Joe Biden e allo stesso tempo alzare le barricate attorno il “governo Giuseppi” potrebbe risultare troppo acrobatico anche per l’andreottismo in sedicesimo attribuito al premier; per la comunicazione reality di Palazzo Chigi, per il politicismo dei leader Pd Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini; per il realismo togliattiano di Massimo D’Alema.