Anche in questa Legge di bilancio il Governo è intenzionato a potenziare il welfare aziendale, la leva di gestione del personale e di relazioni industriali che ha conosciuto la maggiore diffusione dal 2016 (anno di entrata in vigore della sostanziosa riforma varata dal Governo Renzi e veicolata proprio in una Legge di bilancio) a oggi.
Nello specifico, nel disegno di legge recante Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 (A.C. 2112). che ha da poco iniziato l’iter di approvazione alla Camera, sono previste una novità e una riconferma rilevanti per chi ha acquisito confidenza con il welfare aziendale (articolo 68).
La prima è una misura probabilmente laterale come numeri e ambito di applicazione, ma interessante nella logica di fondo. È previsto che le somme (facoltativamente! Non è un obbligo per l’impresa) erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese di manutenzione dei fabbricati locati dai dipendenti assunti a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025 non concorrono, per i primi due anni dalla data di assunzione, a formare il reddito ai fini fiscali (non quindi contributivi, attenzione!) entro il limite complessivo di 5.000 euro annui. Lo scopo della disposizione è esplicitato in un ulteriore comma, ove si specifica che tale beneficio si applicherà ai titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore a 35.000 euro che abbiano trasferito la residenza in un comune di lavoro situato a più di cento chilometri di distanza dal precedente comune di residenza.
L’intenzione del Governo, in un momento, come questo, di inedita crisi dell’offerta di lavoro (quindi le proposte di lavoro – la domanda – sono di più delle persone disponibili a rispondere – l’offerta) è quella di incoraggiare il trasferimento del personale alle prime esperienze perché si convinca ad accettare contratti stabili lontano da casa. Si tratta di un progetto sperimentale, che vale un anno, ma che dimostra ancora una volta come la dinamica tipica del welfare aziendale (la cessione all’interno del rapporto di lavoro non di moneta, ma di beni, servizi e rimborsi con finalità sociale) stia facendo scuola e sia sempre più utilizzata dal Governo per orientare politiche aziendali virtuose.
La seconda disposizione, certamente più rilevante per interesse e ambito di applicazione, concerne i c.d. fringe benefits ex art. 51, comma 3 del TUIR. Per i periodi d’imposta 2025, 2026 e 2027 (quindi per tre anni e non per singolo anno, come accaduto nelle scorse quattro Leggi di bilancio) il limite di valore dei fringe benefits che non concorre a formare reddito è innalzato a 1.000 euro (la soglia prevista dal TUIR è di 258,23 euro), che diventano 2.000 euro per i dipendenti con figli a carico. Tali somme possono essere utilizzate anche per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per la locazione dell’abitazione principale o per gli interessi sul mutuo relativo all’abitazione principale.
In sintesi, è confermato quanto già disposto per l’anno in chiusura, ma non solo per il prossimo anno (questa la novità), bensì per il prossimo triennio. Non si tratta di una stabilizzazione come richiesto a gran voce da AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), ma quantomeno di una misura che guarda al medio periodo, garantendo certezza alle imprese per i prossimi piani di welfare aziendale.
Ora la palla passa al Parlamento, che non è da escludere possa integrare quanto già disposto dal Governo nell’articolo 68 con misure ad ancora maggiore caratterizzazione sociale, come richiesto, tra gli altri, da Compagnia delle Opere in audizione sulla legge di bilancio a riguardo della possibilità in capo ai singoli dipendenti di cedere le somme di welfare aziendale agli enti del Terzo settore o ai colleghi con esigenze di cura.
Se le prospettive della Legge di bilancio in materia di welfare aziendale paiono positive, è opportuno segnalare una curiosa disposizione sul buono pasto, che insieme all’assistenza sanitaria integrativa è ancora oggi il benefit di welfare maggiormente diffuso nel nostro Paese, che potrebbe entrare nel c.d. Ddl Concorrenza in discussione presso le commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera dei deputati. L’intervento, tecnicamente scomposto e poco conforme al diritto eurocomunitario in materia di libera concorrenza, intende imporre per legge un limite al “prezzo” del buono pasto in capo alle imprese che sottoscrivono con le aziende di emissione un libero accordo (già regolato dalla legge) per potere accettare i voucher nei propri punti vendita (grande e piccola distribuzione, pubblici esercizi, gastronomie ecc.).
L’anomala imposizione legislativa di una tariffa pari al 5% di commissioni solo su un anello della catena del buono pasto (che si compone anche dell’accordo tra imprese clienti ed emettitori, a vantaggio del beneficiario ultimo che per la legge è il lavoratore, il dipendente dell’impresa cliente e non il fornitore del servizio sostitutivo di mensa) rischia di ingenerare rilevanti ripercussioni sulla diffusione di questo istituto e sulla quota di benefit non monetari ricevuti dai dipendenti del settore privato, soprattutto nella piccola e media impresa.
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