Anche al Meeting di Rimini si è parlato di welfare aziendale. È la prima volta che a questo argomento viene dedicato uno specifico momento di approfondimento nell’ambito della più frequentata delle kermesse culturali italiane. Una manifestazione solitamente abbastanza indifferente alle mode (ne sono la prova i titoli delle diverse edizioni, assai lontani dai ritornelli delle canzoni-tormentone tipiche della stagione). Il motivo per cui la Compagnia delle Opere ha deciso di discutere del nesso tra le politiche di welfare e una migliore conciliazione tra vita professionale e vita privata non è quindi la mediaticità dell’argomento, ma il reale e sempre crescente interesse che anche le sue imprese manifestano per questa originale politica di gestione delle persone. È un’ulteriore riprova dell’inarrestabile crescita del welfare aziendale, tanto tra le grandi quanto tra le piccole imprese, sia al Nord che al Sud Italia, nei settori industriali così come in quelli dei servizi.
Poco prima dell’estate si era alimentata una capziosa polemica sui costi per lo Stato dell’esenzione da reddito del lavoro previste per i beni, i servizi e le prestazioni di welfare. La migliore risposta a critiche di questo genere, sovente giustificate da preoccupazioni di natura commerciale più che scientifica, è l’incessante diffusione dei piani di welfare aziendale tra le aziende italiane. Non c’è giorno nel quale non siano raccontati nuovi accordi sindacali su questa materia, contenenti disposizioni originali e soluzioni sempre più adeguate ai bisogni dei dipendenti.
I numeri del welfare (oltre 100.000 imprese coinvolte e quasi 2.500.000 lavoratori di imprese private beneficiari di piani di valore medio attorno ai 700 euro – Fonte Aiwa) sono eccessivi per essere giustificati soltanto da opportunismo fiscale. Certamente vi sono casi di progetti nati con un occhio più al bilancio che al benessere dei dipendenti; restano tuttavia una minoranza in un panorama di sempre maggiore coscienza dei benefici derivanti dalla approvazione dei piani di welfare. Benefici non solo per l’impresa, ma, soprattutto, per le persone coinvolte e, non da ultimo, anche per lo Stato, che vede rimborsato con gli interessi l’investimento fatto prevedendo l’esenzione dalla tassazione: il welfare aziendale, infatti, attiva un indotto che genera maggiore lavoro, più Iva e minori spese per servizi pubblici.
Ecco spiegato il gradimento verso la normativa dei cosiddetti benefici di utilità sociale risalente agli anni Ottanta e ampliata nel 2016, 2017 e 2018 mediante le leggi di bilancio.
Il nuovo Governo dovrà decidere se procedere nella direzione dell’ampliamento di queste misure, capaci di “leggere” i moderni rapporti di lavoro, o arrestare un processo di innovazione che ha destato addirittura l’interesse della Germania, il cui Governo sta studiando le politiche di welfare aziendale vigenti in Francia e, appunto, in Italia per colmare uno spread normativo che, almeno questa volta, vede loro più indietro di noi.
@EMassagli