Dopo il raddoppio dei fringe benefits dello scorso agosto (decreto Aiuti-bis), il Governo Meloni ha attuato una nuova misura nel decreto Aiuti-quater n. 176/2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18 novembre 2022, che prevede un incremento della soglia di esenzione fiscale dagli attuali 600 a 3.000 euro, ma in via eccezionale. I fringe benefits, ovvero tutti i beni e servizi erogati dall’azienda al dipendente nell’ambito del welfare aziendale che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente di cui all’articolo 51 del TUIR, saranno esenti dalla tassazione fino al limite di 3.000 euro ma solo per l’anno fiscale 2022.
Dunque dal 1 gennaio non più. Nel bonus dipendenti anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. Certo un supporto che diventava importante anche ai fini delle spese sostenute per le bollette, ma solo per il 2022 e già scaduto. Voci che, come sappiamo, incidono non poco sulla spesa media di una famiglia.
Il welfare aziendale ha già da alcuni anni assunto un “ruolo sociale”, ma per avere un effetto duraturo è necessario uscire dalle logiche emergenziali di rinnovo periodico e ripensarlo in modo strutturale a supporto di imprese e lavoratori poiché ha un trattamento fiscale e contributivo agevolato. E comporta veramente una voce di spesa minima. L’azienda può beneficiare di un abbattimento del costo del lavoro dal 30% al 40% rispetto agli importi lordi erogati in busta paga al dipendente e quest’ultimo ha a disposizione il 100% del valore monetario, senza alcuna tassazione, con un incremento del suo potere d’acquisto; facilita la conciliazione tra vita professionale e personale e la relazione con l’azienda.
È sicuramente un supporto economico concreto, utilizzabile dal dipendente per le più svariate necessità, e gli effetti agiscono sull’aumento della motivazione e delle performance, oltre che sul miglioramento della brand identity e della reputazione aziendale, ma… Pur essendo l’istituto della gestione del personale maggiormente cresciuto negli ultimi anni (+480% il numero dei piani di welfare in Italia dal 1° gennaio 2016 a fine 2021) nella Legge di bilancio 2023 non c’è traccia ed è perlomeno assurdo che proprio questo Governo che aveva deciso, tra i suoi primissimi atti, di innalzare la quota dei c.d. fringe benefits da 600 euro a 3.000 per i soli due mesi finali dell’anno 2022 non abbia legiferato perché almeno venisse confermata strutturalmente la soglia dei 600 euro. Invece niente, dal 1° gennaio è tornata a essere 258,23 euro.
Il Governo doveva correggere il comma 2 dell’art 51 del TUIR, ma non l’ha fatto e ci auguriamo che ci sia un ripensamento virtuoso e nel Decreto Milleproroghe o chissà in altri decreti aiuti legiferi su questo istituto e apra la possibilità di renderlo strutturale e non annuale. Oltretutto i dati del ministero del Lavoro parlano di decine di migliaia di accordi aziendali e di un centinaio di misure diverse che vanno dai voucher per l’asilo nido alle polizze sanitarie, dai benefits per la spesa e la mobilità a quelli per la famiglia, ma anche per il tempo libero, come abbonamenti a palestre, società sportive, piscine. Per esempio, lo smart working può essere considerato come una nuova forma di welfare aziendale che si affianca ad altri benefits più tradizionali perché consente, se giustamente regolamentato, di poter conciliare meglio i tempi di lavoro e vita, non solo alle donne, e come tale dovrebbe essere sempre più considerato in futuro.
La questione che si è aperta con la pandemia è come rendere il welfare aziendale sempre più omogeneo ed estenderlo alle piccole e piccolissime imprese i cui dipendenti sono ancora tagliati fuori, tranne in pochi casi virtuosi. Bisogna incentivare i contratti di rete, le forme di organizzazione sul territorio, il rapporto con gli enti locali.
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