Dopo l’inverno del lockdown tornerà la primavera. Incrociando le dita possiamo immaginare che l’autunno che si sta delineando sia diverso da quello passato e che si possa realisticamente pensare di iniziare una fase nuova. La combinazione di incremento dei vaccinati e ricorso al green pass sembra rendere immaginabile il ritorno alla socialità.



Il desiderio di superare l’emergenza è evidente e non sono pochi folli che confondono il loro egoismo con una forma di libertà che metteranno in discussione quanto sta avvenendo.

Come sempre le maggioranze si esprimono con i fatti e senza schiamazzi. Basta guardare alle code per entrare agli eventi della settimana del design in corso a Milano dove, come già successo al Meeting di Rimini, la gente mostra con orgoglio il proprio pass per poter tornare a vivere di bellezza e cultura con gli altri.



Anche il lavoro si prepara al nuovo autunno con speranza e problemi aperti. Non saranno i distinguo sofistici sui costi dei tamponi di qualche sindacalista a segnare il periodo. Con il lockdown sono emersi con forza problemi ben più urgenti e che obbligheranno tutti gli attori a cambiare le prospettive con cui si sono mossi finora. La crisi pandemica ha agito in modo asimmetrico fra settori economici e lavoratori ed ha accelerato fenomeni che si sarebbero manifestati con minore impatto sociale.

Possiamo ritenere che il tema centrale dei prossimi periodi sia quello della dignità del lavoro. Intendendo con questo la piena dignità del lavoratore che deve poter avere per il suo contributo alla crescita sociale non solo un salario per i suoi consumi, ma la possibilità di assicurare il mantenimento della famiglia, l’educazione per il futuro dei figli ed il riconoscimento del contributo dato, indipendentemente dal lavoro svolto, al bene comune.



Nella crisi di questi anni abbiamo visto emergere lavori che erano trattati come residuali e che sono stati determinanti per la resilienza della società. Non si tratta solo di riconoscere il ruolo fondamentale dei tanti lavoratori non sanitari che sono però indispensabili al funzionamento delle strutture sanitarie, abbiamo scoperto come la logistica, con i tanti facchini nascosti, sia determinante per la nostra vita quotidiana.

Sono solo alcuni esempi di tanti possibili che indicano come la questione della dignità del lavoro si ponga come grande questione sociale. La crescita delle disuguaglianze, effetto dei cambiamenti internazionali e tecnologici in corso pone ai governi ed alle forze politiche e sociali nuove domande che richiedono urgenti risposte. Per molti basterebbe tornare allo status quo pre crisi. Sono i conservatori nascosti sotto alla promessa illusoria che sia possibile ricostruire il mondo del lavoro del passato. Occorre invece un cambio di passo e porre il tema della valorizzazione di tutti i lavoratori dentro alle trasformazioni in corso, modulando politiche di partecipazione e politiche redistributive alla luce della nuova concentrazione di risorse ricchezza in nuovi settori dell’economia.

L’attuazione del Pnrr non potrà che essere accompagnato da riforme che sostengano correzioni profonde per il mondo del lavoro. Due sono immediatamente all’ordine del giorno. Il welfare dedicato al lavoro ha mostrato durante questi mesi di crisi di non assicurare più una copertura generale e di non essere in grado di sostenere le persone nelle transizioni da lavoro a lavoro.

Il primo punto di discussione è diventato quello relativo al Reddito di cittadinanza. Introdotto come riposta alla povertà ed insieme canale di reinserimento lavorativo si è dimostrato uno strumento sbagliato sotto tutti i punti di vista.

Oggi il tema va però visto nell’ambito della riforma più complessiva degli ammortizzatori sociali, dato che si vuol arrivare a tutele universali. Dobbiamo allora inserire in un unico disegno complessivo strumenti diversi per soggetti diversi.

Tre mi paiono le categorie da prendere in considerazione per ridisegnare i sostegni al reddito: chi è estromesso temporaneamente dal lavoro ma nella certezza di un reinserimento lavorativo nella stessa azienda; chi viene estromesso e dovrà cercare una nuova collocazione, tenendo conto anche dei lavoratori autonomi e dei disoccupati tout court; infine, gli interventi contro la povertà, indispensabili e spesso abbinati ad interventi dei servizi sociali per riportare ad avvicinarsi al lavoro fasce di persone che sommano altre fragilità alla povertà economica.

Come si vede, si tratta di ridisegnare il complesso degli attuali ammortizzatori sociali pensando ad un intervento che ridisegni i sostegni al reddito per le fasi di transizione nelle diverse fasi lavorative in senso universalistico e definisca in modo preciso gli interventi economici che devono contribuire a combattere le povertà.

Il secondo intervento urgente è la riforma dei servizi per le politiche attive del lavoro. In questo caso l’Italia deve recuperare un ritardo più che decennale rispetto agli altri paesi europei. Abbiamo servizi pubblici per il lavoro, i Centri per l’impiego, che sono stati dedicati a svolgere ruoli meramente burocratici. Oggi vi è la necessità i fare decollare un sistema di servizi di politiche attive del lavoro che assicuri a qualche milione di persone nei prossimi anni il sostegno nei cambiamenti che investiranno il lavoro nel suo complesso.

Si tratta di assicurare, a chi dovrà semplicemente adeguare le sue competenze come a chi dovrà acquisirne di nuove, a chi dovrà cambiare lavoro come a chi dovrà cambiare professione, i servizi di presa in carico, di orientamento, l’offerta di percorsi di formazione per reskilling o upskilling individuali o collettivi e l’accompagnamento per nuovi inserimenti lavorativi.

Per assicurare anche in questo caso l’universalità dei servizi serve un potenziamento e adeguamento dei servizi pubblici, ma senza il coinvolgimento delle Agenzie per il lavoro private e degli enti accreditati sul territorio sarà impossibile raggiungere gli obiettivi previsti nel Pnrr.

Promuovere nuovi ammortizzatori e nuovi servizi al lavoro chiede una governance attenta a condividere le policy e i risultati. Una sfida per Governo e Regioni, ma anche per il sindacato e le rappresentanze delle imprese.

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