“Vivere può essere un’avventura straordinaria” diceva Robin Williams in Hook – Capitan Uncino di Steven Spielberg. Era un Peter Pan cresciuto che doveva ritrovare la capacità di tornare bambino. Per i bimbi protagonisti di Wendy, il film di Benh Zeitlin presentato alla Festa del cinema di Roma nella sezione Alice nella città, però è particolarmente difficile mantenere la propria innocenza e lo stupore infantile, perché sono poveri e diseredati.
Zeitlin prosegue la ricognizione in chiave fiabesca dell’America degli ultimi partiti col precedente Re della terra selvaggia riadattando la fiaba di Peter Pan e ambientandola in un’America prossima alla Lousiana del precedente film: la protagonista è, appunto, Wendy che fugge da casa assieme ai fratelli per seguire le avventure di Peter e dei bambini sperduti. La minaccia di invecchiare e perdere ogni spirito avventuroso è incombente e Wendy, oltre alle meraviglie dell’isola, dovrà affrontare dei pericoli parecchio terreni.
Scritto con la sorella, anche scenografa, Eliza, Wendy è un film di avventure fantastiche che mescola l’impronta di Spielberg e del cinema fantastico da lui realizzato e prodotto negli anni ’80 con una vena iperrealistica che guarda al Dogma e al cinema danese (e infatti il direttore della fotografia Sturla Brandth Grøvlen è lo stesso di Un altro giro).
Fin dalla prima sequenza, Zeitlin si riconnette con quel mondo meraviglioso e atroce del suo primo film, il treno sembra un terremoto e la mente si ricollega all’uragano Katrina che era ombra silenziosa del film del 2012, qui come lì il bisogno di magia e di avventura immaginifica nasce dal bisogno di fuggire dalla paura o dallo squallore e non per semplice bisogno interiore come in Barrie o Spielberg. Il regista si conferma bravissimo nel trovare il punto d’incontro narrativo, ambientale e cinematografico tra la crudezza delle immagini e il loro splendore, a immergere il fantastico nel quotidiano tra la condizione misera (ma mai pietosa) dei suoi personaggi e la possibilità di cambiare le carte in tavola, grazie alla magia.
Zeitlin però, conscio della responsabilità verso chi lo ascolta, non alza un canto alla fuga nell’immaginazione, non celebra l’escapismo per poi tornare all’ordine, ma fa della resistenza attraverso la vita, con le scelte quotidiane, un dovere morale: il senso del meraviglioso è un assaggio che si trova proprio nelle pieghe della vita (il valore della mamma: una balena da cui nascono le scintille di magia), un barlume forse breve ma per cui vale la pena lottare pur di non finire nell’inferno di una vecchiaia senza scopo, senza speranze, una lotta che può redimere anche gli adulti, in cui – come già intuito da Spielberg – anche Uncino ha un posto di primo piano (bellissimo il finale e tutta l’ultima parte).
Di quella lotta, di quella scoperta impervia si nutre Wendy e, grazie al magnifico 16mm e alle musiche composte con Dan Romer, Zeitlin conferma un posto di rilievo nel cinema immaginifico contemporaneo, grazie a un uso dei colori, del movimento, degli effetti speciali inusuale e a una straordinaria capacità di trasmettere sullo schermo l’energia comunicativa dei ragazzini: quello della protagonista Devin France è uno dei volti e dei primi piani più espressivi e intensi visti di recente.