In un futuro prossimo è probabile che i ricchi avranno a disposizione, per lo svago, parchi a tema molto speciali. Grazie alla robotica e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, questi luoghi di divertimento saranno abitati da androidi del tutto simili agli umani, programmati ad assecondare ogni desiderio dei facoltosi visitatori (per ben 40.000 dollari al giorno) che potranno dare sfogo a ogni desiderio, facendo loro tutto quello che nella realtà sarebbe proibito: violentare, stuprare, picchiare, uccidere.
Se non siete già diventati per colpa del coronavirus vittime dell’ansia, vi consiglio di guardare Westworld, dove tutto è concesso. Lunedì è infatti andato in onda su Sky Atlantic il primo episodio della terza stagione, rigidamente in lingua originale con i sottotitoli in italiano, a causa della chiusura degli studi di doppiaggio per l’epidemia in corso. La cadenza settimanale con cui saranno diffuse le 8 puntate vi darà il tempo di guardare, se non lo avete già fatto, le due stagioni precedenti.
Westworld, creata da Jonathan Nolan (Interstellar, Il cavaliere oscuro, Person of interest) e Lisa Joy, è una delle serie più belle prodotte in questi ultimi anni dalla HBO, con scenografie da mozzafiato e un cast di prim’ordine, che annovera attori del calibro di Anthony Hopkins, Ed Harris, e i più giovani Evan Rachel Wood, Thandie Newton, Jeffrey Wright. Nella terza stagione ruoli da protagonista sono riservati a Vincent Cassel (Serac) e ad Aaron Paul, il simpatico Jesse Pinkman di Breaking Bad.
Hopkins interpreta nella prima stagione Robert Ford, il geniale ideatore del progetto. Egli non ha solo creato Westworld, ma ne difende testardamente lo spirito iniziale e combatte contro gli azionisti della Delos, la società proprietaria dei parchi a tema, che guardano solo ai profitti. Ford ama i protagonisti del suo parco, ha seguito personalmente la programmazione di ciascuno di essi, ha scelto la “storia” che essi interpretano ogni giorno.
Grazie all’intelligenza artificiale i residenti-robot imparano dalla loro esperienza, migliorano le loro performance quotidiane, diventano di giorno in giorno più “reali”. Questo processo però non è sotto il totale controllo dei programmatori, perché questo continuo apprendimento – attraverso la “ricordanza” – spinge i robot verso il “centro del labirinto” dove trovano la “coscienza”. È proprio attraverso questo percorso di riconoscimento della propria identità che alcuni di essi – non si sa se autonomamente, o proprio grazie alla volontà del suo fondatore – ricordano e odiano i visitatori-umani, desiderano la libertà e immaginano la fuga dal parco.
I proprietari di questo enorme business, giovani e spregiudicati affaristi della finanza, hanno nel frattempo progettato nuovi parchi con nuovi temi in ogni angolo della terra. Se il primo parco – Westworld – è una ricostruzione del vecchio e selvaggio Far West (con gli indiani, il settimo cavalleggeri, i saloon e le diligenze), i nuovi parchi evocano l’India sotto il dominio britannico (Raj) e il Giappone del periodo Edo (Shogunworld). Ma ai manager della Delos non sfugge l’importanza di avere nelle mani un potere enorme, e inevitabilmente si sviluppa tra di loro una lotta feroce per conquistare le chiavi di Incite, una sorta di Google del futuro, che ha accesso ai dati e al sistema Rehoboan. I “residenti”, dopo aver fatto strage di umani, scappano e sfuggono al controllo dei gestori del parco e si inseriscono nella lotta di potere.
Le metafore nascoste nel racconto di Westworld sono molteplici. Possiamo ad esempio paragonare la storia alle nostre città d’arte, invase ogni giorno da migliaia di turisti. I cittadini di queste realtà – pensate a una città come Napoli – sanno di essere parte integrante del luogo, essi stessi sono degli attori, e i tanti visitatori sono certamente interessati alle bellezze del luogo, ai musei e ai luoghi d’arte, ma amano molto di più l’accoglienza, il calore umano, la condivisione della buona cucina e di quant’altro possa servire a immedesimarsi in quei luoghi. Ai tanti entusiasti viaggiatori poco importa che – al calare delle luci dello “spettacolo” – la vita reale di queste persone sia un inferno, perché la stessa città che loro hanno appena descritto come bellissima ha trasporti pubblici inefficienti, servizi come la scuola e la sanità inesistenti, e la vita di tutti giorni – per i residenti – è solo un duro calvario.
Ma Westworld ci fa riflettere anche sul nostro futuro denso di incognite soprattutto se pensiamo a chi avrà il potere reale sui dati e se i potentissimi sistemi informatici dovessero finire in mani di persone senza scrupoli. Anche in questo caso, la serie tv targata HBO aiuta a riflettere sulle potenzialità dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche sui suoi limiti, insiti in un sistema che non migliora, ma anzi esaspera gli stessi difetti umani.
Scopriremo nelle prossime settimane chi prevarrà nella lotta per il controllo del sistema Incite. Bisogna dire che già dalle prime battute gli umani stanno diventando sempre più antipatici e gli androidi conquistano la nostra simpatia e ci appaiono quelli che stanno dalla parte giusta.
Riuscirà Caleb Nichols, l’unico umano-umano, il reduce squattrinato e in cerca di un lavoro normale, interpretato magistralmente da Aaron Paul, a farci schierare dalla parte dei nostri simili?