Un wet market di Wuhan è presumibilmente il luogo dove ha avuto origine la pandemia di Coronavirus e di conseguenza è scattato a livello globale l’allarme circa i rischi per la salute connessi a questi “wet market” (letteralmente “mercati bagnati”), nei quali si vendono beni deperibili come carne fresca, pesce, frutta e talvolta anche animali vivi: ve ne sono almeno 70 anche a New York e questo ha fatto scattare la protesta degli animalisti. Le condizioni igienico-sanitarie sono infatti spesso assai discutibili, come il mondo intero ha scoperto fin troppo bene a causa del Coronavirus.



Come detto, i wet market sono diffusi anche negli Usa: ve ne sono diverse centinaia, nei quali gli animali sono venduti vivi e talvolta anche macellati sul posto. La CBS ha intervistato in proposito l’epidemiologo Ben Lopman, che ha affermato come i wet market rappresentino un rischio per la salute a causa della grande diversità di animali che in essi sono venduti, sebbene quelli americani siano diversi dai wet market della Cina, dove si trovano anche animali esotici. “Ovunque gli esseri umani vengono a contatto con gli animali, è una potenziale opportunità per un’infezione di passare dagli animali agli umani“, ha detto Lopman.



Gabbie di animali accatastate l’una sull’altra, con feci, urina o persino sangue che defluiscono, non fanno certo pensare a condizioni igieniche ideali e hanno acceso i riflettori sui wet market degli Usa. “Non mangerei cibo proveniente da uno di quei mercati”, ha dichiarato la deputata dello Stato di New York Linda Rosenthal. Eppure, dall’inizio dell’emergenza Coronavirus lo Stato di New York ha smesso di ispezionare i mercati di animali vivi e Rosenthal ha dichiarato di essere allarmata per la mancanza di controllo da parte dei governi statali e locali sui wet market.



WET MARKET NEGLI USA: QUALI RISCHI PER LA SALUTE?

Di conseguenza Rosenthal ha presentato un disegno di legge per far chiudere i wet market in attesa di una valutazione di rischio, per motivi di salute pubblica che permetterebbero di sospendere le licenze dei wet market esistenti e di smettere di emetterne di nuove. In effetti oltre il 60% delle malattie infettive possono diffondersi dagli animali agli esseri umani e l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto i rischi connessi ai wet market, che d’altro canto sono “fonte di cibo e sostentamento a prezzi accessibili per milioni di persone in tutto il mondo”, come ha dichiarato il capo dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, aggiungendo però che “in molti luoghi sono stati mal regolati e mal mantenuti”.

I gruppi animalisti insistono sul tasto delle condizioni igieniche spesso insufficienti, ma c’è pure chi difende una storica tradizione di molti Paesi, trasferita anche negli Usa, classico melting pot di genti da tutto il mondo. Intervistato dalla CBS, Imram Uddin, la cui famiglia ha gestito un mercato di animali vivi per 64 anni nel Queens, a New York, ha affermato che non tutti possono essere giudicati dai peggiori esempi: “Vieni a vedere cosa facciamo prima di giudicare, teniamo separati tutti i nostri animali. Disinfettiamo più volte al giorno. Fa parte della nostra routine da prima del Coronavirus. I wet market sono fondamentali per i clienti che desiderano carni kosher o halal. Per molti dei miei clienti, è una tradizione. È un modo per preservare il loro modo di vivere”.

Di certo però serve maggior rigore e la pandemia di Coronavirus può almeno essere l’occasione per regolamentare il settore dei wet market, premiando chi è nel giusto e bloccando chi agisce nell’illegalità, facendo del male agli animali e mettendo a rischio la salute pubblica.