Gli screenshot dei messaggi WhatsApp o gli stessi sms contenuti nella memoria di un cellulare possono essere acquisiti in un processo penale. Lo prevede una norma, nello specifico l’art. 234, comma 1, c.p.p. secondo cui “è consentita l’acquisizione di scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”. Al giudice il compito di valutare l’attendibilità dei soggetti interessati al pari di altri documenti. Dunque, non serve estrarre la copia forense, cioè la copia integrale del contenuto. Lo spiegano Nicola Pietrantoni e Maria B. Lanzavecchia, dello studio legale associato Isolabella, sulle colonne di ItaliaOggi.
Le comunicazioni scambiate via WhatsApp e gli sms conservati nel cellulare sono, dunque, documenti e, in quanto tali, possono essere acquisiti, senza dover scomodare le intercettazioni. Un orientamento che trova conferma nella sentenza della Cassazione (39539) del 19 ottobre scorso. I giudici hanno, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso contro la decisione della Corte d’appello di Milano che confermava la condanna di primo grado per il reato di “indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti”. In altre parole, aveva usato la carta bancomat intestata alla persona offesa senza autorizzazione. Ma la difesa ha presentato ricorso tirando in ballo anche le modalità di acquisizione di alcuni mezzi di prova, come una serie di messaggi WhatsApp conservati nella memoria del telefono cellulare della parte lesa.
“MESSAGGI WHATSAPP E SMS HANNO NATURA DI DOCUMENTI”
La Cassazione ha, dunque, respinto il ricorso ribadendo che “in tema di mezzi di prova, i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti”, citando l’articolo sopra riportato, “sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza”. Dunque, per la Suprema Corte si tratta di vere e proprie “prove documentali”. Pertanto, le conversazioni WhatsApp e via sms possono entrare in maniera legittima nel processo penale tramite la semplice acquisizione della foto, il cosiddetto screenshot. È evidente come tale interpretazione agevoli l’acquisizione di tali prove, ma anche come l’attenzione si sposti alla valutazione da parte del giudice, perché il fatto che lo screenshot di una conversazione WhatsApp possa essere acquisito non esclude automaticamente la valutazione dell’attendibilità, aspetto che può essere stabilito solo dal giudice, come evidenziato da ItaliaOggi.