A proposito di Whirlpool, i segnali erano chiari e non averli colti non è certo un’attenuante. Il 6 giugno – dopo il comunicato del 31 maggio e dopo l’incontro al Mise del 4 giugno – la “casa madre” ha riferito alla Sec la decisione di convertire lo stabilimento di Napoli e di cessare la produzione di lavatrici. Whirlpool è una public company quotata a Wall Street e, come in tutto il mondo, le comunicazioni o le smentite hanno conseguenze sul valore delle azioni e quindi sulla fiducia degli investitori. Quando si smentiscono gli annunci sono guai che nessun Amministratore delegato vuol correre. Questo è, nel bene o nel male; non tenerne conto è segno di scarsa avvedutezza o poca professionalità. Ancora più grave se, com’è stato riferito da fonti aziendali, il Governo italiano era informato già da aprile di quest’anno sulle intenzioni dell’azienda e per parecchie settimane ha tenuto per sé queste delicate informazioni. Anche i sindacati nazionali sembra siano stati preliminarmente informati



Il 18 settembre Whirlpool ha comunicato la intenzione di procedere alla riconversione del sito napoletano entro la fine di questo anno e ha invitato tutte le parti a discutere il relativo progetto industriale. Quindi non si è trattato di prendere o lasciare quel che Whirlpool propinava, ma di iniziare a discutere gli aspetti occupazionali, produttivi, finanziari, patrimoniali, gestionali e tutto quello che compone un piano industriale per arrivare (se possibile) a una soluzione industrialmente solida e garantita dalla stessa Whirlpool. Il Governo ancora una volta non ha saputo/voluto cogliere lo spazio che si stava aprendo.



È stata scelta una strada diversa e ancora in queste ore si continua a chiedere che a Napoli si producano lavatrici. All’Azienda viene offerto uno strampalato aiuto economico (addirittura inserito nel Decreto Legge sulle crisi d’impresa) che, se accolto, la costringerebbe a collocare tutte le unità lavorative italiane in Contratto di solidarietà. Un accanimento che, in modo ossessivo e senza un apparente tentativo di cercare una soluzione, viene motivato con argomentazioni semplicistiche che non fanno onore a un Governo che dovrebbe occuparsi di politica industriale e sviluppo del Mezzogiorno.



Il Sindacato si nasconde dietro la posizione del Governo; rinuncia a svolgere un ruolo autonomo e porta alle estreme conseguenze un tatticismo poco compatibile con chi vorrebbe indirizzare la politica economica del Paese. Si appella all’accordo dell’ottobre 2018 firmato dalle sole parti (azienda e sindacati) presso la sede del Mise, ma non dal Ministero che ha semplicemente preso atto delle conclusioni cui è giunto il loro confronto. Ma proprio quell’accordo era fondato su uno spietato esame della situazione critica di Whirlpool in Europa che, non va dimenticato, avrebbe portato poche settimane dopo alla sostituzione dell’intero top management (Vicepresidente operativo, Amministratore delegato e capo del personale, per citare solo quelli più noti). Lo hanno dimenticato i sindacati, ma lo hanno ben presente tutti i lavoratori del Gruppo che, escludendo quelli di Napoli, si guardano bene dall’andare oltre una generica solidarietà di facciata.

Dunque una paradossale situazione nella quale sembra che ognuno voglia continuare a recitare la parte di un copione che non prevede momenti di reciproca reale comunicazione. E tantomeno lo sforzo per una ricerca comune di soluzioni in grado di rispondere al problema vero: dare risposta ai 420 dipendenti lasciati cinicamente allo sbaraglio. Per loro, leggendo il comunicato diramato da Whirlpool al termine dell’incontro a palazzo Chigi il 15 ottobre, si sta concretizzando la pura e semplice perdita del posto di lavoro. Il primo di novembre cesseranno le produzioni di lavatrici e nessun’altra produzione le sostituirà.

Sindacati e Governo in uno strano connubio hanno pensato bene di buttare la palla tribuna evocando “la reale volontà della casa americana: uscire dal mercato europeo lasciando sul lastrico non 420, ma ben 5 mila famiglie”. Se qualcuno è convinto deve agire con ben altra determinazione di quella fin qui dimostrata. Con tutto ciò non si vuol dire che il progetto della nuova produzione sia condivisibile; noi non lo conosciamo, ma vorremmo capire (come forse lo vorrebbero tutti i lavoratori di Napoli) se è solido, ovvero se si tratta di prodotti con un buon mercato, se la compagine societaria è finanziariamente e patrimonialmente solida, se garantisce davvero l’occupazione e, infine, quali garanzie e per quanto tempo è disposta a dare Whirlpool. Ci sembrano “curiosità” che dovrebbero avere tutti. E invece no: o lavatrici o nulla.

Forse non ci si rende conto dell’assurdità di una simile posizione. Ma intanto il tempo scorre e la parte superiore della clessidra si sta inesorabilmente svuotando.

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