L’annuncio della Whirlpool di voler avviare da oggi 15 luglio la procedura di licenziamento per i dipendenti del sito di Napoli – che secondo le norme vigenti ha un arco temporale di 75 giorni per potersi concludere – non è certo una bella notizia per gli operai dello stabilimento partenopeo, la cui produzione di lavatrici la società afferma non essere più economicamente sostenibile. La Whirlpool – assicurando la remunerazione per il periodo dei 75 giorni, la possibilità di un trasferimento a chi lo accettasse nel suo impianto di Cassinetta di Biandronno nel Varesotto, e un incentivo all’esodo di 85mila euro per singolo addetto – ribadisce comunque che le sue fabbriche in Italia sono strategiche per la sua presenza competitiva in area Emea.
Certo, il comportamento della multinazionale americana appare molto diverso – almeno nelle offerte alternative avanzate agli addetti napoletani – da quello dell’inglese Gnk che all’improvviso (stando alle dichiarazioni dei suoi dipendenti) ha chiuso i battenti del sito in Toscana comunicando soltanto con un sms il licenziamento delle maestranze. Comunque, siamo in presenza di licenziamenti che fanno temere l’inizio di un sisma occupazionale di vaste proporzioni, sinora congelato dal blocco dei licenziamenti, superato però dal 1° luglio, sia pure con alcune eccezioni settoriali.
E a questo punto torna prepotente – ed è bene che il Ministro Orlando ne sia pienamente consapevole e con lui tutto il Governo – la richiesta dei sindacati (ma anche della Confindustria) che sia finalmente messo a punto in Italia un sistema moderno e avanzato di ammortizzatori sociali il cui costo, per quanto elevato, deve poter offrire percorsi di riqualificazione/reimpiego a tutti coloro che fossero colpiti da procedure di licenziamento. Il Ministro, ricordiamolo, si era impegnato a metterlo a punto già per fine febbraio nel suo primo incontro con i sindacati, subito dopo la formazione del Governo Draghi. Allora, è giunto il momento di definire il testo nella sua completa articolazione, individuandone le coperture – che sembra debbano aggirarsi sui dieci miliardi all’anno – poi di presentarlo alle parti sociali e quindi di portarlo in Consiglio dei ministri per avviarlo infine all’approvazione parlamentare.
Le risorse necessarie per una copertura ad ampio spettro che includa anche figure del lavoro autonomo sarebbero elevate? Molto probabilmente, ma si possono abbandonare figure sociali incolpevoli della loro condizione alla disperazione, al lavoro nero, all’indigenza, o peggio nelle spire della malavita? E poi diciamolo con franchezza: è mai possibile che ministero dell’Economia e Agenzia delle entrate non riescano, per quanto di rispettiva competenza, a stanare dieci – solo dieci – miliardi di evasione fiscale e contributiva che sappiamo tutti molto bene a quanto ammonti in Italia secondo le stime più attendibili? Il Direttore dell’Agenzia delle entrate di recente ha dichiarato che tutte le banche dati riferite ai contribuenti sono ormai a regime da tempo. L’Agenzia delle entrate però – aggiungeva il Direttore – deve essere solo autorizzata adincrociarne i dati per procedere a una più incisiva azione di recupero di gettito.
Ora, ci rendiamo conto tutti dell’estrema delicatezza politica (per ogni partito o movimento) dell’avvio (anche soft) di un’operazione di disboscamento dell’evasione fiscale, soprattutto in questa fase ancora caratterizzata dalla pandemia. Ma non è forse giunto il momento che l’attuazione (storica) del Pnrr sia accompagnata (finalmente) nel nostro Paese da un moderno sistema di ammortizzatori sociali? Perché, se dobbiamo cambiare in profondità larga parte del sistema produttivo nazionale, non possiamo pensare di farlo abbandonando al massacro sociale centinaia di migliaia di persone colpite da ristrutturazioni e riconversioni aziendali: non sarebbe sostenibile sotto il profilo della giustizia sociale e anche – è inutile nasconderselo – sotto quello dell’ordine pubblico.
Ma bisognerà anche definire linee di politica industriale per settori, soprattutto per quelli che saranno maggiormente colpiti da processi profondi di riassetto tecnologico ed occupazionale. E sappiamo tutti quali sono i primi due che già oggi stanno subendo gli effetti dei mutamenti “epocali” già in corso, e sono quello dell’automotive con l’avanzare delle motorizzazioni elettriche, e quello dell’energia con il diffondersi sempre più ampio delle rinnovabili e la dismissione di alcuni grandi impianti termoelettrici a carbone. Ci riferiamo alla megacentrale da 2.660 MW dell’Enel a Brindisi, ove la holding pubblica – dopo la dismissione del primo gruppo da 660 MW all’inizio dell’anno – ha ufficialmente comunicato lo spegnimento progressivo degli altri 3 gruppi entro il 2025, con circa mille posti di lavoro fra diretti e indotto che già oggi si prevedono in esubero. E anche il progetto di riconversione a metano di questa centrale sta incontrando le resistenze degli ambientalisti locali – che considerano il gas solo come un combustibile fossile e non anche come quello idoneo alla transizione ecologica – resistenze che si sono riflesse in sede di Via in alcune richieste degli organi tecnici del ministero della Transizione ecologica che a molti attenti osservatori sono sembrate quasi redatte materialmente da qualche associazione ambientalista.
Sull’auto a trazione elettrica, la cui componentistica sarà di dimensioni di molto inferiori a quella necessaria per i motori endotermici, si vuole incominciare a ragionare per soluzioni produttive e occupazionali alternative con i grandi player automobilistici presenti nel Paese, l’Anfia, i sindacati, la Confindustria e la Confimi, le università, e i centri di ricerca già al lavoro sul complesso problema per disegnare un percorso di ristrutturazione/riconversione che non sarà certo semplice, ma che dovrebbe essere il più possibile indolore per tutti coloro che saranno coinvolti da una transizione tecnologica che sarà appunto “epocale”, come quando ai primi del Novecento apparve il motore a scoppio, dando così inizio a quella tecnologia di propulsione che abbiamo poi conosciuto per oltre un secolo?
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