È sempre più evidente che la causa principale del dissesto morale della nostra contemporaneità sta nell’aver dimenticato quell’umanesimo laico e cristiano che portò alla caduta del Muro di Berlino e al crollo dell’Unione Sovietica. Fu la più spettacolare vittoria incruenta della Storia umana e la galleria di mina scavata sotto quell’imponente fortezza di Barad Dur che era il comunismo sovietico fu scavata dalla Polonia di Solidarnosc, dalla Cecoslovacchia di Charta 77, da quelle figure di eroi e di martiri, di scrittori e di scienziati, di filosofi e sacerdoti che in questi ultimi trent’anni abbiamo buttato nell’indifferenziato.
In fondo erano solo slavi, e persino Putin dice una scomoda verità quando parla di un razzismo dell’Occidente a guida atlantica verso il mondo slavo. Una persona sui settant’anni può chiedersi se la generazione successiva abbia mai solo sentito nominare Walesa, Tischner, Havel, Benda, Patocka, Bukovskij, Solzenicyn, Sacharov e migliaia di altri. Più di tutti Karol Wojtyla, San Giovanni Paolo II, sulla cui memoria da settimane si sta spalando abbondante guano, in una sorte di perversa ritorsione per il caso, enigmatico e angoscioso, di Emanuela Orlandi.
È bastata la registrazione telefonica di un soggetto coinvolto nella banda della Magliana (cioè, non esattamente colui dal quale compreremmo un’auto usata) perché la figura di San Giovanni Paolo II ne restasse sfigurata nella memoria collettiva. Con dichiarazioni, peraltro, che richiamano ricorrenti leggende urbane romane, dove lo stesso fatto era già stato attribuito anche ad altri pontefici.
È il metodo dell’“aringa marcia”, descritta da Vladimir Jakovlev su La nuova Europa. “Si sceglie una falsa accusa che sia quanto più infamante e scandalosa possibile. … Lo scopo dell’aringa marcia non è certo quello di dimostrare l’accusa ma, al contrario, di provocare un ampio dibattito pubblico proprio su quanto l’accusa è … ingiusta e infondata. La psiche umana è strutturata in modo tale che non appena un’accusa diventa oggetto di pubblico dibattito, inevitabilmente compaiono sostenitori e oppositori, conoscitori ed esperti, così come implacabili accusatori e accaniti difensori dell’accusato. Ma indipendentemente dalle posizioni, tutti i partecipanti del dibattito pronunciano più e più volte il nome dell’accusato associandolo all’accusa infamante e scandalosa e strofinando così sempre più aringhe marce sui suoi abiti, finché quell’odore comincia a seguirlo ovunque vada. E allora chiedersi se abbia o meno ucciso, rubato o adescato diventa la prima reazione quando si menziona il suo nome”.
L’altra conseguenza della calunnia, sempre secondo Jakovlev, è “provocare nell’ascoltatore … un profondo trauma emotivo, il quale andrà poi a influire sulle sue opinioni per lungo tempo, a dispetto di ogni argomentazione logica o razionale”. È l’ultima versione di “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Frase attribuita a Voltaire e che la dice lunga su quali lumi si fonda il laicismo.
La riprova? La reazione del teologo Vito Mancuso al quale il 20 maggio scorso è stata posta la seguente domanda: “Sono state lanciate anche delle accuse direttamente a Papa Giovanni Paolo II. Crede che ci sia un fondo di verità?” Risposta: “No, non saprei, per parlare di queste cose bisogna essere dentro la storia. Ma in generale la figura di Papa Wojtyla è stata eccessivamente idealizzata, complice anche averlo fatto santo subito”. Urgono ricerche per stabilire se vi siano due Vito Mancuso, come se non ne bastasse già uno. Perché il Vito Mancuso di tredici anni fa così scriveva su Vanity Fair: “Giovanni Paolo II è stato proclamato venerabile il 19 dicembre 2009. La sua santità personale risplende luminosa e spero che presto verrà riconosciuta. Ciò non deve impedire alla coscienza cattolica matura di segnalarne anche i limiti, per proseguire quella ‘purificazione della memoria’ da lui stesso intrapresa e da non interrompere mai”.
Ci si permette di suggerire, se proprio non ci si vuole fidare della Congregazione per le cause dei santi, di fidarsi dei servizi segreti polacchi, la temibile e organizzatissima Bezpieka. In un libro che quasi tutti gli italiani ignorano, Karol Wojtyla spiato. Giovanni Paolo II negli archivi dei servizi segreti (Interscienze 2012) Marek Lasota descrive le ricerche compiute negli archivi dei servizi segreti e su come questi abbiano cercato continuamente di compromettere l’allora arcivescovo di Cracovia senza mai ricavare nulla.
In un documento del 1969, elaborato dal maggiore Boguslaw Boguslawski, vengono indicati in modo dettagliato gli argomenti di indagine su Wojtyla sia psicologici che nella sfera affettiva. In questo campo si chiede di verificare: amore per il lavoro, coraggio, saggezza, autocontrollo, equilibrio emozionale, tendenza alla depressione, sensibilità, senso dell’umorismo e dignità, predisposizione al vizio. Andando ancor più nel dettaglio le indagini sono state svolte esaminando tutti gli aspetti della vita personale: se fuma, se beve, chi gli fornisce la biancheria intima, chi fa il bucato della sua biancheria, dei calzini. Praticamente tutto, comprese, naturalmente amicizie femminili compromettenti. Non fu trovato nulla.
Già in una relazione dei servizi del maggio 1960 si leggeva questo ritratto: “Rara combinazione di uomo d’intelletto e di azione, dotato di intelligenza molto vivace, di capacità di analisi e di sintesi, focalizza l’essenza del problema, discutendone in maniera chiara e precisa, specialmente per via scritta. Molto alla mano, servizievole, ligio al proprio dovere. Non è smodatamente ambizioso, giudica con molta obbiettività sé stesso e le proprie possibilità. È improbabile che ecceda incautamente. È sempre equilibrato, sa cosa vuole, ha una volontà forte e convinzioni ferme. Non è influenzabile ma sa ascoltare i consigli. Molto probabilmente può mostrarsi caparbio, e anche suscitare antipatie. Probabile predisposizione all’infervoramento, anche se controllato e nei limiti. Pare capire bene la gente, riconoscendone bene i difetti. È serio per quanto capace di vedere i risvolti divertenti nelle persone e negli avvenimenti, ha anche senso dell’umorismo. È onesto, presumibilmente capace di rilevare i propri errori e riconoscerli, almeno con sé stesso. È un buon osservatore, ciò è sicuramente frutto della pratica e dei contatti con le persone, dote forse non solo innata. Per niente superficiale, è religioso, di orientamento più razionale e metafisico che sentimentale” (Lasota, Wojtyla spiato). In definitiva Bezpieka ha risparmiato il lavoro alla Congregazione per le cause dei santi.
Quando gli uomini di Bezpieka seppero dell’elezione di Wojtyla al soglio pontificio rimasero sconvolti, poi si consolarono con questo ragionamento: ”Riflettiamo, in fondo meglio Wojtyla come papa che questi come primate”. E invece i primati, nel senso dei pitecantropi, erano proprio gli uomini dei servizi segreti che non avevano capito niente. Ma noi, qui, in Italia, 45 anni dopo, siamo al di sotto dei pitecantropi, degli australopitechi istintivi e animali, incapaci di memoria complessa. Del resto “l’uomo o si fa icona di Dio o si fa scimmia” e la nostra scelta l’abbiamo già fatta da tempo.
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