In un’annata per chi scrive deludente per l’animazione popolare, con Pixar concentrata a replicare sé stessa in modi più o meno ambizioni (Soul in arrivo su Disney+ a Natale, Onward per l’Epifania) e gli altri in attesa di tempi migliori per far uscire i film, da AppleTv+ arriva il film di animazione dell’anno: Wolfwalkers, diretto da Tomm Moore e prodotto da Cartoon Saloon, casa di animazione irlandese che con gli anni ha attirato le attenzioni degli appassionati.
Il nuovo film, co-diretto da Ross Stewart, torna a prendere spunto dalla mitologia celtica, come sempre lo studio, e racconta di una bambina trasferitasi in città dove il padre è un cacciatore di lupi. Durante un giro nel bosco entra in contatto con un’altra bimba, una wolfwalker ovvero un essere umano che nel sonno diventa lupo. Dopo un primo scontro, le due diventano amiche e alleate nella ricerca della mamma della wolfwalker, la cui anima da lupo è stata imprigionata.
Will Collins ha scritto un’avventura fiabesca in cui lo scontro tra mondi è un modo per riflettere sullo scontro fratricida tra Irlanda e Inghilterra e per raccontare i percorsi di formazione di due bambine all’interno di una realtà che non le vuole, che le respinge, che le reputa estranee quasi per natura. I temi sono quelli della fiaba e della declinazione cinematografica, la conoscenza e comprensione degli altri, soprattutto dell’altro che c’è dentro di noi, ciò che rende Wolfwalkers speciale è la sua realizzazione in senso visivo e cinematografico.
Centrato narrativamente sul rapporto tra dimensioni diverse e sulla capacità di sapervi entrare, Moore e Stewart lavorano proprio sulle dimensioni del disegno e degli sfondi, su una bidimensionalità accentuata, di tradizione antica in cui irrompe l’animazione che le dà profondità, come se il rapporto con l’estraneo desse la giusta forma al mondo, rendesse le linee dei veri e propri spazi da poter percorrere. A questa scelta si sposa uno stile grafico in cui il contrasto tra geometrie, spigoli e righe scattanti con la fluidità dei movimenti dell’animazione crea una visione ricchissima e affascinante.
Soprattutto i due registi hanno ben presente i classici, il modo di tradurlo in immagini animate ricordando uno dei migliori (e sottovalutati) Disney moderni come Il gobbo di Notre-Dame o del più cupo dei Miyazaki come Principessa Mononoke, senza edulcorare nulla – per esempio accennando all’Inquisizione inglese -, ma senza dimenticare il target del suo pubblico: Moore e Stewart scelgono una forte tensione drammatica, ma non dimenticano la gioia dello spettacolo e delle immagini, dei colori come veicoli di comunicazione, del montaggio e del racconto dei maestri del genere e non solo: il finale è proprio grande cinema tout court.
Come sempre il cinema di Moore e di Cartoon Saloon (a cui di recente il festival Cartoons on the Bay ha dedicato il focus) comunica allo spettatore la gioia del fare animazione, l’emozione del disegno e del racconto, la felicità di realizzare, mostrare e vedere un grande film.