Da un articolo a tutta pagina di Henry John Woodcock sul Fatto Quotidiano ci si aspettava tutto fuorché l’appello alla politica per riformare la giustizia in aperto contrasto alla maggioranza dei suoi colleghi magistrati: «separazione delle carriere tra magistrati e pm sarebbe quantomeno più trasparente del nostro attuale sistema, che ‘ nasconde’ genesi e gestione delle inchieste sotto l’impenetrabile coltre dell’indipendenza del pm e dell’obbligatorietà dell’azione penale». Incredibile a dirsi, per uno dei protagonisti della giustizia “mediatica” nelle sue indagini prima a Potenza e oggi a Napoli, la soluzione proposta dall’Unione delle Camere Penali alla Ministra Cartabia non è più una “bestemmia” ma addirittura qualcosa da poter appoggiare e sostenere.



Il pm della Procura di Napoli sostiene nella sua requisitoria sul Fatto – il quotidiano “principe” dell’avversione alla riforma sulla separazione delle carriere – che «tenere nel fascicolo quanto meno traccia della genesi di un’indagine potrebbe avvicinare di più il sistema ai valori di trasparenza e di responsabilità che connotano un regime democratico». Uno dei problemi della giustizia italiana evidenziata dal terremoto del caso Palamara, prosegue Woodcock, riguarda il fatto che il pm «nell’unico ordine giudiziario possa mettere a rischio la cultura del giudice, trascinandola verso una deriva poliziesca».



LA “SVOLTA” A SORPRESA DI WOODCOCK

Sono saette quelle che il procuratore di Napoli lancia contro la magistratura e il Csm, da anni ormai in permanente attesa di una “rivoluzione” della propria gestione da parte della politica: «Si potrebbe citare come spia e segnale di pericolo di una simile colonizzazione culturale del giudice da parte del pm la tendenza di alcuni giudici al ‘copia/incolla’ delle richieste del pm — pratica recentemente ‘ approvata’ perfino dalla Suprema Corte», aggiunge ancora Woodcock sul Fatto Quotidiano, rispondendo alle difese sperticate che i magistrati Di Matteo e Caselli hanno alzato sul “sistema” della magistratura. È invece proprio il caso Palamara che dovrebbe insegnare ai giudici che è tempo di cambiare rotta: prosegue il pm di “Vallettopoli”, «dopo il «terremoto Palamara è ancora più urgente che le decisioni» diventino «conoscibili e trasparenti sia quando riguardano la carriera dei magistrati sia quando si tratta di genesi e gestione delle inchieste». Durissimo ancora Woodcock sulla rete di relazioni che coinvolge gran parte della magistratura italiana, «oggi i pm si sono abituati a vincere facile, loro compito è convincere un giudice già in peretta sintonia con i loro argomenti perché si frequentano e chiacchierano agli stessi convegni, agli stessi matrimoni, alle stesse chat». Infine, il “manifesto” di Woodcock che non ti aspetti arriva a sentenziare: «Io personalmente, in quanto pm, non vivrei in modo traumatico una separazione delle carriere, la considererei piuttosto come una nuova sfida positiva, anche sul piano della formazione e della professionalità […] l’esigenza che il pm continui a coltivare come il giudice, pur nella diversità del ruolo, quella cultura del dubbio, che è un elemento essenziale della funzione giudiziaria».

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