Alina Chan, studiosa del Broad Institute del Mit e della Harvard University, è convinta che il Covid-19 sia stato creato in laboratorio. È di questa ipotesi che ha parlato in un editoriale pubblicato sulle colonne del New York Times, in cui espone diversi motivi per cui ritenere ciò è plausibile. Innanzitutto, perché la pandemia è iniziata a sole mille miglia di distanza da Wuhan, la città in cui si trova il principale laboratorio di ricerca al mondo per i virus simili alla SARS. Ma non solo.



È infatti proprio in quell’Istituto di Virologia, secondo l’esperta, che i ricercatori, che si stava approfondendo il tema del salto della specie. I ricercatori avrebbero prelevato campioni (più di 22.000, componenti un database che non è mai uscito dalla Cina dopo l’inizio della pandemia) da diversi animali infetti, tra cui anche topi modificati con geni umani. Gran parte di questo lavoro è stato condotto in collaborazione con l’EcoHealth Alliance, un’organizzazione scientifica con sede negli Stati Uniti che, dal 2002, ha ricevuto oltre 80 milioni di dollari in finanziamenti federali per la ricerca dei rischi delle malattie infettive emergenti. Le operazioni avvenivano però in condizioni di biosicurezza inappropriatamente basse.



L’ipotesi del Covid originato naturalmente non convince Alina Chan

Al contrario, l’ipotesi di un salto della specie per la pandemia di Covid-19 appare molto debole per Alina Chan. Anche nei focolai in cui i virus simili alla SARS esistono naturalmente, infatti, il passaggio dai pipistrelli all’uomo è molto raro. Inoltre, non c’è nessuna traccia di questo processo. 

Al contrario, il contagio dell’uomo potrebbe essere divenuto semplice attraverso un progetto di ricerca chiamato Defuse, che era stato scritto nel 2017 come una collaborazione tra EcoHealth, l’Istituto di Wuhan e Ralph Baric dell’Università della Carolina del Nord, ma che non ha mai ricevuto finanziamenti dagli Stati Uniti. Esso proponeva di cercare e creare virus simili alla SARS che avessero una caratteristica unica: un sito di scissione della furina, che ne migliora l’infettività. Il Covid-19 ha proprio questa caratteristica e, secondo gli studi, l’ha acquisita soltanto poco prima della pandemia.