LA CINA DI XI JINPING E LA TOTALE “SINIZZAZIONE” DELLE RELIGIONI

Nel lungo discorso tenuto all’apertura del XX Congresso del Partito Comunista di Cina, il Presidente Xi Jinping – che si candida al terzo mandato consecutivo alla guida del regime popolare cinese – ci ha tenuto a precisare come il processo di «sinizzazione» delle religioni in Cina proseguirà speditamente. Da Taiwan all’economia, dalla lotta alla corruzione al proseguimento della costruzione «della società comunista», fino appunto alle religioni da “nazionalizzare” al completo. Ecco il passaggio (breve) del discorso di Xi Jinping non esattamente sottolineato dai media esteri e italiani: «la Cina continuerà a spingere per sinizzare la religione e per guidare in modo proattivo l’adattamento della religione e della società socialista».



Nessun riferimento alla situazione dello Xinjiang, men che meno alle persecuzioni atte contro altre confessioni religiose, non da ultimo alcuni membri della Chiesa Cattolica: nei giorni in cui il Vaticano e il Governo cinese hanno rinnovato per altri due anni l’accordo “provvisorio” per le nomine dei vescovi, si comprende perché la Santa Sede mantiene una certa “accortezza” nel considerare conclusa la stagione delle persecuzioni. “Sinizzazione”, il termine usato da Xi Jinping, non vuol dire altro che pieno controllo assoluto su tutte le credenze religiose: nazionalizzazione per “guidare” le religioni al raggiungimento della piena società comunista-socialista. Questo il progetto della Cina di Xi da tenere ben presente per gli sviluppi futuri delle relazioni tra la Chiesa e tutte le religioni con il regime di Pechino.



RELIGIONE & CINA: IL PIANO DI XI JINPING PER LA NAZIONALIZZAZIONE

Come spiegava lo scorso aprile il professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano, Agostino Giovagnoli, occorre fare piena attenzione al piano di Xi Jinping per nazionalizzare la religione in Cina. Già salendo al potere nel 2012, il Presidente del regime di Pechino esprimeva parole durissime contro la libertà religiosa: «le religioni devono essere cinesi e libere da qualsiasi influenza straniera»; devono poi essere anche «integrate alla società socialista», e porsi per questo «sotto la guida del Partito Comunista per servire lo sviluppo della nazione». In Cina sono presenti ad oggi 5 religioni riconosciute: buddhismo, il taoismo, il protestantesimo, l’islam e il cattolicesimo, anche se quest’ultima viene controllata dall’Associazione Patriottica Cattolica che solo dal 2018 collabora a distanza con la Santa Sede per la nomina dei vescovi.



Rimozione nei luoghi di culto, arresti di esponenti religiosi e divieto di molti simboli di fede sono gli elementi che negli ultimi anni hanno visto un progredire all’indietro della libertà religiosa in Cina: il “teocrate” Xi vuole assoggettare l’intero complesso delle religioni sotto l’asservimento dello Stato. L’accordo del Vaticano è uno spunto positivo perché prova a dialogare con la dittatura per far emergere una realtà autonoma all’interno della vasta Cina: come spiegava sempre Giovagnoli a RaiNews24 «i cattolici cinesi, come anche le altre religioni, non godono della piena libertà religiosa. Ciò non toglie che la firma dell’accordo abbia risolto una ferita profonda che ha afflitto i cattolici fino al 2018. È stato un passo molto positivo, Papa Francesco e i suoi collaboratori sono del tutto consapevoli che questo accordo non risolve tutti i problemi, ed è anche sbagliato pensare che ci sia una piena intesa tra la Santa Sede e Pechino. Certamente si è aperto un dialogo che prima non c’era». In merito al piano di nazionalizzazione della religione in Cina, il docente riflette sul problema ancora non pienamente compreso dall’occidente: «c’è un piano di “sinizzazione”, con tutte le religioni. È un piano soprattutto di tipo politico, la pretesa di controllare e di imporre loro una stretta fedeltà alla politica del Partito Comunista e del governo cinese. Sappiamo che con Xi Jinping tutti i controlli sulla società sono aumentati: nell’ambito accademico e culturale, su sport, religione, spettacolo, tutto deve essere maggiormente controllato e questo è una diversità rispetto al precedente presidente Hu Jintao». Durante la pandemia, in Cina, conclude Giovagnoli «il Covid – 19 è stato contrastato con una politica di ferro, controllo e limitazione della Libertà in nome della salute pubblica, tenendo la società cinese sotto un fermo controllo del Partito Comunista».