Una nuova peste sta contaminando l’Europa. Colpisce le piante: quelle contagiate non hanno scampo e muoiono nell’arco di qualche anno, tre-cinque se si tratta di ulivi, uno-due se si tratta di viti. Delle altre piante non si trovano statistiche. Il flagello si chiama Xylella fastidiosa. È un batterio che, quando si insedia nel sistema linfatico di una pianta, si riproduce rapidamente, ne ostruisce l’apparato conduttore della linfa e la soffoca. I primi sintomi del soffocamento sono il disseccamento di rami periferici della chioma, poi la carenza di linfa si estende alla parte centrale e alle radici della pianta, fino alla morte. L’aggettivo “fastidiosa” compone in modo eloquente il nome scientifico del batterio.



Il batterio non sarebbe da solo in grado di aggredire le altre piante, il ruolo di vettore da una pianta all’altra è invece assunto da piccoli insetti che, cibandosi della linfa di un albero infetto, trasmettono l’infezione a quelli vicini. Il lungo arco di tempo che va dall’infezione alla morte della pianta obbliga, pertanto, a sradicare tutte le piante che stanno entro un certo raggio (circa 50 metri) da quella morta e che possono essere state infettate dagli insetti parassiti. La Xylella è stata importata dall’America o dall’Asia, dove è piuttosto diffusa. In Europa, le aree contaminate sono la Francia (Corsica, dal 2021), la Spagna (Isole Baleari, dal 2018), il Portogallo (comune di Fundão, dal 2022) e l’Italia (Toscana e Puglia, a partire dal 2010 o poco prima). In Germania si era registrato un solo punto di contagio in una serra, contagio che è stato subito debellato distruggendo l’intera serra.



In Toscana, la Xylella è stata scoperta nel comune di Monte Argentario su ginestre e altre piante a basso fusto e su mandorli, ma non su olivi. In Puglia ha praticamente distrutto tutti gli ulivi e altre piante da frutto della provincia di Lecce, che rappresenta l’estremo sud del tacco d’Italia, e sta da qualche tempo attaccando gli uliveti delle province di Taranto e Brindisi e, più recentemente, della provincia di Bari e il sud della Basilicata. Il ceppo toscano di Xylella è diverso da quello pugliese, quindi non si tratta di fenomeni collegati, né la gravità del contagio in Toscana è paragonabile a quella della Puglia. Per contenere l’infezione, sia la Commissione Europea, sia la Regione Puglia impongono l’eradicazione degli alberi infetti. Con decreti ad hoc e con stanziamenti mirati, la Regione Puglia è intervenuta al fine di garantire, da una parte, il sostegno ai coltivatori colpiti e, dall’altra, il contenimento dell’infezione entro zone delimitate e la raccolta di dati a fini di ricerca scientifica per contrastare la peste.



Ulivi abbattuti

Le cose, purtroppo, non sono andate come il legislatore regionale sperava: in pochi anni, più di 20 milioni di ulivi pugliesi sono stati abbattuti, non solo nelle zone inizialmente delimitate, ma anche in altri focolai manifestatisi ben più a nord della zona cuscinetto e delle aree dette “di contenimento”. Delle due l’una: o le norme tecniche per il contenimento dell’infezione sono state disattese, oppure le norme non sono adeguate a contenere la diffusione del batterio, oppure ambedue. È comunque sotto gli occhi di tutti che la peste degli ulivi non sembra affatto arginabile.

Il contagio riguarda non solo gli ulivi, ma anche mandorli, viti, agrumi, oleandri e altre piante tipiche dei Paesi a clima caldo-secco: un’autentica strage per la quale, a tutt’oggi, non si intravede alcun rimedio. L’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, dopo aver analizzato nel 2019 una pluralità di trattamenti sperimentati da enti di ricerca sparsi per l’Europa per risolvere il problema Xylella, conclude che non esistono trattamenti efficaci per eliminarla sul campo. Sembra, invece, che la varietà di ulivo “leccino” sviluppi meno sintomi se attaccata dal batterio. Comunque sia, la varietà leccino rappresenta solo una parte, non prevalente, degli ulivi pugliesi e avere meno sintomi non significa esserne esente.

Il passaggio della peste Xylella consegna al visitatore un territorio brullo e inselvatichito e un paesaggio desolante che non possono non influire – in negativo – su quel turismo di qualità che la Puglia ha scoperto da qualche anno. Chi percorra le strade che dal centro della regione portano verso Lecce, è sconvolto da un certo punto in avanti dalla visione apocalittica di chilometri e chilometri di ulivi completamente secchi, di terreni abbandonati e invasi dalle erbacce, di muri a secco franati. Quando il viaggiatore si rende conto che anche i campi impreziositi dal verde-argento degli ulivi si trasformeranno in poco tempo in un deserto simile, è preso da un’ulteriore sensazione di vuoto. È l’avvilimento che già confonde chi la terra la coltivava con amore, l’amore che fa resistere al miraggio di un lavoro più facile e redditizio che coltivare la terra. Sono, infatti, già migliaia i posti di lavoro persi a discapito dell’agricoltura, dell’industria agro-alimentare e del ripristino delle abitazioni di campagna dismesse. Saranno sempre di più se non si ferma la peste.

Anche sul piano istituzionale alcune cose non sembrano essere andate come pianificato: la Regione Puglia non riesce – come afferma anche la Coldiretti – né a padroneggiare la situazione sul campo, né a spendere tutti i fondi stanziati per rigenerare gli uliveti e arginare l’epidemia. Tra l’altro, non è chiaro il motivo per cui i sostegni al reddito sono stati erogati solo alle aziende agricole con partita IVA e non anche ai tanti piccoli proprietari di uliveti che rappresentano la maggior parte dei colpiti dal fenomeno Xylella.

Per ora, il solo suggerimento valido per contrastare la Xylella, oltre a quello di sradicare le piante malate, è stato di creare un cordone sanitario attorno. E, come è evidente, il suggerimento non ha retto alla prova dei fatti. Persino il gruppo di lavoro ingaggiato dalla Commissione Europea per combattere la peste suggerisce di puntare all’obiettivo minimale di monitorare a campione il fenomeno fuori dei luoghi contaminati, al fine di scoprire precocemente i nuovi casi d’infezione. Su cosa fare per neutralizzare l’organismo nocivo gli studiosi allargano le braccia.

In questo triste scenario, va inserita la parentesi degli ulivi millenari, che in Puglia chiamano senatori, o patriarchi. Alcuni di questi ulivi sono veramente millenari, hanno visto passare gli eserciti cristiani che si imbarcavano a Brindisi per andare alle crociate in Terra Santa. La lunga durata di vita implica che sono passati attraverso siccità prolungate, incendi, malattie, errori di coltivazione e ogni altra disgrazia successa nei secoli. Inoltre, il loro essere in vita testimonia che vivere più di mille anni rientra, per una pianta, nel campo del possibile. Quando si è valutato se trattarli come gli altri alberi, ossia abbatterli se affetti da Xylella, tutti – ambientalisti, VIP innamorati della Puglia e Regione – si sono opposti. Purtroppo, i senatori sono stati i primi a morire.

Tutto ciò nel silenzio del Paese. Ci chiediamo quanti conoscevano la gravità del problema prima di leggere questo articolo. L’impressione è che né l’opinione pubblica italiana né quella europea si rendano conto della catastrofe cui sta andando incontro una regione italiana. C’è chi grida al complotto, cioè che non si fa nulla perché l’obiettivo è colonizzare la Puglia, nel senso che una Puglia in ginocchio si compra per pochi soldi. Può darsi, ma cosa se ne fa l’ipotetico acquirente di una landa desolata? Noi temiamo che la verità sulla scarsa comunicazione pubblica sia ben più semplice: nessuno sa cosa fare per debellare sul serio la Xylella. Partiamo da questa consapevolezza per esortare la scienza e la politica ad attivarsi giacché nessuna delle cose scritte sopra è frutto di esagerazione.

Cosa fare

Per finire, qualche riflessione sulle cose che si potrebbero fare per arginare e, possibilmente, debellare la Xylella.

Anzitutto, va informata l’opinione pubblica della gravità e dell’urgenza del problema. Si noti che è necessario informare anche i pugliesi che non sono affatto uniti nel valutare la gravità della peste che li minaccia e ancor meno lo sono sulle cose da fare per sconfiggerla. Sono, quindi, necessarie sia campagne di stampa che rendano gli italiani consapevoli della rilevanza del problema, sia l’istituzione di un numero verde che informi, in modo particolare i coltivatori, del rischio connesso alla Xylella. Dopo, a conti fatti, si capirà se il batterio dilaga per il mancato rispetto delle norme fitosanitarie o per l’inadeguatezza delle norme.

Inoltre, la peste delle piante è un problema nazionale e non regionale. Anzi, è più appropriatamente europeo, però c’è necessità di una regia nazionale che porti il problema nella sua complessità all’attenzione dell’Europa. All’Europa va spiegato che la lotta alla Xylella non deve essere considerata solo un problema di difesa dell’altra agricoltura europea contro il rischio d’importazione di un batterio ad alta infettività, ma può e deve costituire un modello di risposta unitario al rischio di collasso di un’ampia regione europea qualora si gestisca in modo insufficiente un problema epidemiologico.

Il coordinamento nazionale del problema implica altresì l’imposizione di un sistema di sorveglianza dei comportamenti dentro le zone infette, ma anche, in modo del tutto diverso, nelle zone cuscinetto e in quelle credute libere dal batterio, al fine di avere contezza in tempi rapidi di eventuali contagi.

Il mondo della ricerca va coinvolto nella lotta alla Xylella, definendo obiettivi progettuali e stanziando fondi adeguati cui possono attingere centri di ricerca anche internazionali, inclusi gli studiosi di chimica e farmaceutica. La ricerca scientifica dovrebbe concentrarsi su come neutralizzare il batterio o i suoi vettori. Non va comunque ignorata alcuna possibile azione volta a conoscere precocemente l’infezione e contenerne il danno: per esempio, il DRG Xylella 1866/2022 della Regione Puglia propone esperimenti con l’uso di vibrazioni per disperdere gli insetti vettori, l’addestramento di cani dell’Ente nazionale di cinofilia italiano per identificare eventuali piante infette, nonché l’uso di immagini aree per identificare con appositi sensori piante infette prima che si manifestino i sintomi esterni.

Vanno fatti stanziamenti per sperimentare il ripristino della coltivazione dell’ulivo anche nelle zone contaminate. Se ci sono varietà di ulivo più resistenti, vanno seriamente sperimentate, se ci sono criteri di coltivazione che neutralizzano i vettori, vanno certificati prima di imporli. L’eventuale sperimentazione dovrebbe coinvolgere anche i piccoli proprietari, incoraggiando la massa dei coltivatori che hanno perso tutto a ricominciare a credere che fanno parte di un disegno credibile.

Anche il Coronavirus si presentò come una variante della peste. Anche allora ci fu un tempo in cui il virus sembrava invincibile. Poi sono arrivati i vaccini e la gente ha adottato nuovi comportamenti e il virus, che pure continua ad essere in mezzo a noi, non fa più la stessa paura e fa danni molto più circoscritti rispetto ad un paio d’anni fa. Ragioniamo per analogia anche per la Xylella, combattiamo una peste alla volta.

 

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