Il Dna è davvero la prova regina dell’omicidio di Yara Gambirasio? È l’interrogativo centrale nella nuova puntata di Farwest, il programma di Salvo Sottile in onda questa sera in prima serata su Rai 3 con un focus sull’inchiesta che portò a inchiodare Massimo Bossetti al profilo dell’assassino della 13enne di Brembate di Sopra, il famigerato “Ignoto 1” scovato dalla Procura di Bergamo dopo un’indagine senza precedenti che vide finire sotto la lente investigativa migliaia di campioni biologici prelevati agli abitanti di una vasta area intorno al teatro dei fatti. Secondo la giustizia italiana, che si è espressa in maniera identica nei tre gradi di giudizio a suo carico, fu proprio lui, all’epoca muratore a Mapello, ad adescare e uccidere la piccola ginnasta il 26 novembre 2010 per poi abbandonarne il corpo in un campo di Chignolo d’Isola dove sarebbe stato ritrovato soltanto 3 mesi più tardi, il 26 febbraio 2011.



Massimo Bossetti è l’uomo non ha mai confessato e la sua difesa, rappresentata dagli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, insiste da anni nella battaglia per l’accesso completo ai reperti – non solo alla mera visione, concessa solo nel 2024, ma anche a una nuova analisi che mai fu accolta in sede di dibattimento – perché convinta che l’esito del Dna cristallizzato nelle sentenze non sia rispondente alla verità. Secondo i legali di Massimo Bossetti, l’assassino è ancora a piede libero e i giudici avrebbero consegnato al carcere un innocente. Ora puntano ad esaminare i reperti, dopo averli visti per la prima volta a 13 anni dalla morte di Yara Gambirasio, nell’ottica di una istanza di revisione del processo. 



Il corpo di Yara Gambirasio trovato dopo 3 mesi in un campo a Chignolo, Salvagni: “Non è morta lì”

La difesa di Massimo Bossetti è convinta che Yara Gambirasio non sia stata uccisa nel posto dove, 3 mesi esatti dopo la sua sparizione, fu ritrovata. Secondo quanto dichiarato dall’avvocato Claudio Salvagni, a dimostrare che la tesi difensiva è solida ci sarebbe un elemento in particolare, emerso con forza durante la recente ricognizione dei reperti a cui legali e consulenti del condannato hanno avuto accesso poche settimane fa.

Si tratta delle condizioni di estrema pulizia delle scarpe dei Yara Gambirasio, dettaglio che non passa inosservato alla luce delle macchie di sangue sui calzini: “Secondo l’accusa, la ragazza è stata uccisa in quel campo ed è rimasta lì per 3 mesi, fino al giorno del suo ritrovamento. Noi abbiamo sempre contestato questo dato (…) e guardando i reperti ci siamo accorti che la nostra teoria, cioè che Yara Gambirasio non sia morta lì, è forse quella più accreditata. Avrebbe dovuto camminare su quel campo e le scarpe dovevano essere sporche di quel terreno, sono state anche per mesi all’aperto. Le immaginavo molto compromesse e invece così non è. Sono veramente molto ben conservate, non dico che sembrino tirate fuori dalla scarpiera, ma poco ci manca“.



Omicidio Yara Gambirasio, l’arresto di Massimo Bossetti nel 2014

L’inchiesta che portò gli inquirenti sulle tracce di Massimo Bossetti fu senza precedenti. Per trovare l’assassino di Yara Gambirasio, partendo dal profilo “Ignoto 1” isolato sugli slip della vittima, si procedette all’analisi di migliaia di profili genetici tra gli abitanti della zona fino a chiudere il cerchio intorno al muratore di Mapello, padre di 3 figli e incensurato, che secondo l’accusa uccise la 13enne. Ma quello non fu l’unico Dna individuato sulla scena. La localizzazione della traccia ricondotta poi a Massimo Bossetti, denominata “31G20” e impressa su una sezione delle mutandine della minorenne, sarebbe ritenuta più significativa rispetto al materiale genetico trovato in altre parti come i guanti della 13enne, dove sarebbero stati repertati altri profili ignoti, in particolare uno maschile e uno femminile.

Bossetti fu arrestato il 16 giugno 2014 e si trova in carcere da 10 anni e continua a dirsi estraneo al delitto di Yara Gambirasio, ma per chi ha condotto quell’indagine non ci sarebbe alcun dubbio. La difesa, questo è certo, non potè mai analizzare i campioni di Dna e verificare se quanto risultato all’accusa fosse corretto o frutto di qualche errore perciò ancora oggi si batte perché le venga concesso l’esame dei reperti. Il campione di Dna di Massimo Bossetti fu prelevato con la scusa di un controllo stradale di routine durante il quale fu sottoposto all’etilometro così gli inquirenti poterono effettuare la comparazione con il profilo “Ignoto 1” arrivando, questa la tesi della Procura, a una perfetta corrispondenza. L’esame di quella traccia inizialmente anonima indicava che chi l’aveva lasciata, il killer di Yara Gambirasio, era figlio di un autista di Gorno, Giuseppe Guerinoni, scomparso nel 1999. Proprio attraverso l’analisi dei campioni si scoprì che quell’uomo era il padre biologico di Massimo Bossetti, cosa che lui stesso avrebbe appreso nel momento in cui finì al centro dell’inchiesta.