Il braccio di ferro sui reperti del caso Yara Gambirasio – tra cui 54 campioni di Dna – si chiude con il rigetto della Cassazione al ricorso straordinario con cui la difesa di Massimo Bossetti, all’ergastolo in via definitiva e rappresentato dagli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, chiedeve di poterli analizzare per la prima volta. I legali avevano proposto istanza per accedere non solo alla mera ricognizione, ma alla possibilità di condurre accertamenti in particolare sui leggings e gli slip della 13enne sui quali fu isolata la traccia di ‘Ignoto 1’ e poi ricondotta proprio al muratore di Mapello. 



Yara Gambirasio scomparve il 26 novembre 2010 dopo essere andata in palestra e fu trovata morta in un campo di Chignolo d’Isola. ad alcuni chilometri di distanza, il 26 febbraio 2011. Massimo Bossetti fu arrestato il 16 giugno 2014 e condannato in via definitiva all’ergastolo nel 2018, da sempre si professatosi innocente. La battaglia della difesa gravita proprio intorno ai reperti e alla “prova regina” del Dna che lo avrebbe inchiodato al profilo dell’assassino: secondo Salvagni un “atto di fede” inaccettabile perché violato il diritto di difesa dell’allora imputato che chiedeva, dal principio del dibattimento, di poter verificare con propri consulenti se quel materiale gli appartenesse davvero.



Yara Gambirasio, Cassazione dichiara inammissibile analisi dei reperti. La reazione della difesa di Bossetti e cosa succede adesso

La Cassazione, secondo quanto riporta Ansa, si sarebbe espressa negativamente con un rigetto del ricorso straordinario della difesa di Massimo Bossetti relativamente alla richiesta di analisi dei reperti del caso Yara Gambirasio. Istanza che, per la Suprema Corte, sarebbe inammissibile. Ora potrà soltanto visionarli, ma non metterci “mano” e quindi non procedere ad accertamenti. “Al netto della lettura delle motivazioni per esprimere un giudizio ponderato, la prima impressione è che quanto accaduto sia incredibile al punto di farmi dubitare che la giustizia esista. Il potere vince sempre – ha commentato l’avvocato Salvagni –. Su Massimo possono esserci ancora colpevolisti e innocentisti magari al 50 e 50, ma al 100% si può affermare che in quei reperti c’è qualcosa che noi non possiamo accertare, c’è la risposta che Massimo è innocente. Quei reperti sono sempre stati intoccabili e il perché è ormai evidente“.



Il 20 novembre scorso, in Corte d’Assise era prevista l’udienza in cui il pool difensivo avrebbe potuto assistere soltanto alla “ostensione” dei reperti. A far slittare l’appuntamento in aula era stato proprio l’intervenuto ricorso straordinario in Cassazione dei legali di Bossetti, il cui obiettivo primario era proprio l’analisi nell’ottica di una eventuale istanza di revisione del processo.Siamo stati autorizzati ad esaminarli nel 2019, quattro anni fa, e ancora dobbiamo cercare di arrivare a quel risultato a colpi di ricorsi (fino ad ora vinti tutti!). Questa difesa arriverà alla verità“, aveva sottolineato mesi fa l’avvocato Salvagni su Facebook, prima di ribadire il concetto in una intervista rilasciata ad Andrea Lombardi su YouTube: “Non possiamo accontentarci di vedere i reperti, per questo abbiamo fatto un ricorso straordinario in Cassazione”. L’autorizzazione a cui Salvagni si riferiva è contenuta nel provvedimento del 2019 con cui il Tribunale di Bergamo aveva finalmente concesso ai consulenti della difesa l’analisi delle prove che hanno portato Bossetti all’ergastolo, depositato in cancelleria il 27 novembre dello stesso anno e per sua natura “intangibile e irrevocabile”. Per tutto il processo, la difesa di Massimo Bossetti non ha mai avuto accesso a quei reperti nonostante le reiterate richieste. Ed era stato ancora Salvagni, attraverso la trasmissione di Andrea Lombardi su YouTube, a sottolineare la complessità della fase che ha visto i difensori di Bossetti battersi per l’accesso completo che consentisse di condurre gli accertamenti: “Avevamo chiesto, durante tutta la fase processuale, di poterlo fare, ma non abbiamo mai potuto analizzarli né vederli. Grazie all’indagine giornalistica di Giangavino Sulas si è scoperto che quei campioni (di Dna, ndr) esistevano ed erano custoditi presso il laboratorio San Raffaele di Milano benché le sentenze avessero affermato che tutti erano esauriti. Questa novità clamorosa ha portato la difesa a fare istanza di visione e analisi dei reperti, che è stata autorizzata. Quando abbiamo chiesto quali fossero le modalità operative per farlo, ci è stato detto che la nostra domanda era inammissibile. Da qui è cominciato il braccio di ferro a colpi di ricorsi in Cassazione, che abbiamo sempre vinto“.