La Corte d’Assise di Bergamo ha dichiarato inammissibile la richiesta dei legali di Massimo Bossetti di conoscere lo stato e il luogo di conservazione dei campioni di Dna che sono stati oggetto di confisca dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione lo scorso 26 luglio 2021. Nuovo no dei giudici alle istanze del muratore di Mapello, in carcere dal giugno 2014, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. In precedenza altre due volte i giudici oroboici si erano espressi in maniera negativa sulla richiesta di accesso e analisi degli stessi campioni.



A renderlo noto i legali Claudio Salvagni e Paolo Camporini durante la trasmissione Iceberg di Telelombardia, che sarà in onda questa sera e in vista di ciò ha diffuso un’anticipazione. «La Corte di Bergamo probabilmente pensa di essere superiore alla Corte di Cassazione, se i principi di questa vengono disattesi», dichiara l’avvocato Salvagni. Inoltre, precisa che non intendono mollare la presa. «Se pensano che la difesa abbandoni per stanchezza si sbagliano di grosso. Stiamo già lavorando al quinto ricorso».



YARA GAMBIRASIO, LA LETTERA DI BOSSETTI

L’avvocato Claudio Salvagni ritiene fondamentale capire lo stato di conservazione dei reperti, «perché come è noto affinché si possano fare delle analisi sul dna occorre che questo sia stato conservato a temperatura costante e sotto lo zero cosi com’era custodito al San Raffalele di Milano prima della confisca». Questa sera a Telelombardia andrà in onda anche una lettera che ha scritto Massimo Bossetti e di cui è stato reso noto al momento solo uno stralcio: «Sono confinato trattenuto dentro a queste mura che ogni giorno mi stanno sempre più strette, continuo nel vedermi la dignità disconosciuta, disprezzata, calpestata e i miei diritti fondamentalmente ignorati e violati». I suoi difensori stanno cercando spunti per chiedere l’eventuale riapertura del processo. Stando a quanto riportato da Quarto Grado, la decisione è stata presa lo scorso 21 gennaio dalla Corte d’Assise di Bergamo, presieduta dal giudice Patrizia Ingrascì.

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