Mentre le bombe di Israele su Gaza proseguono e mentre ancora si scagliano razzi dalla Striscia contro gli obiettivi sensibili ebrei, la guerra in Medio Oriente apre anche una piccola ma significativa polemica esplosa a livello mediatico internazionale. Nelle scorse ore YouTube ha rimosso una pubblicità del Ministero israeliano degli Affari Strategici perché mostrava immagini e video degli scontri nella guerra di Gaza con il lancio di razzi dalla Striscia e le conseguenze umanitarie e sociali di quei raid.
Un portavoce di YouTube ha detto al portale “Motherboard” che il video è stato rimosso perché «violava la politica del sito sulle immagini violente», dopo che oltre 2 milioni di persone avevano visto nell’ultima settimana quello spot prima dei normali video di YouTube. Il Governo di Netanyahu ha diffuso il video-spot a diverse piattaforme, tanto che qui sotto potete vederlo su Twitter (dove finora è rimasto): la polemica intanto corre contro Google che è detentrice della piattaforma video più diffusa al mondo, con una lettera aperta presentata negli scorsi giorni e indirizzata al CEO di Google, firmata da 250 dipendenti dell’azienda che si definiscono «alleati degli israeliani». Nella missiva si chiede a Google di terminare «tutti i contratti con le istituzioni che contribuiscono alla violazione dei diritti dei palestinesi, inclusi le forze armate israeliane». Viene contestato inoltre che con quel video si “giustifichino” le bombe lanciate su Hamas e i palestinesi.
LA GUERRA IN ISRAELE DIVENTA ANCHE UN CASO MEDIATICO
Non solo, i dipendenti di Google nella lettera chiedono alla direzione di «rifiutare qualsiasi definizione di antisemitismo che consideri antisemita le critiche a Israele o al sionismo», considerando che la fusione di antisemitismo e antisionismo «danneggia la ricerca palestinese di giustizia ed ebrei limitando la libertà di espressione». La guerra interna a Cupertino si trasla inevitabilmente anche a livello internazionale, riaffiorando le polemiche tra politica e social network già sorte con il “ban” imposto da Facebook, Instagram e Twitter contro l’ex Presidente degli Usa Donald Trump. Google dopo le polemiche sul video YouTube ha rifiutato di chiarire se il Ministero degli affari strategici o lo stesso governo israeliano in generale «abbiano pagato per pubblicare gli annunci»; ha invece affermato di applicare le proprie politiche «in modo coerente a tutti gli inserzionisti indipendentemente dalla loro affiliazione». Infine, the Big-G ha indicato come la parte delle sue politiche vieta già agli inserzionisti di pubblicare annunci che contengono immagini violente o raccapriccianti, nonché resoconti di traumi fisici.