Con “Mama Sofia” ha aiutato bambini in strada e donne detenute, ora l’associazione della moglie dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in Congo, arriva in Italia. Dovrebbe aprire nel nostro Paese nei prossimi mesi, perché Zakia Seddiki vuole perseguire i suoi principi e ideali, pur dovendo affrontare un dolore enorme quale è la morte del marito. L’ambasciatore è stato assassinato a colpi di mitra mentre andava a visitare un centro scolastico, scortato dal carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e accompagnato dall’autista Mustapha Milambo. Dopo aver portato via le ultime cose rimaste in Congo, la vedova è tornata a Roma. «Con la mia famiglia abbiamo dovuto chiudere un cerchio che andava chiuso», racconta al Corriere della Sera. Ma può contare sulla solidarietà di tante persone che non vogliono farla sentire sola. I progetti di Mama Sofia in Congo però vanno avanti: alcune suore italiane si occuperanno di alcuni, ad aiutarle una donna che era in servizio in ambasciata. Ad esempio, assistono una ragazza che ha vissuto due anni con l’intestino fuori dalla sua collocazione naturale e ha subito varie infezioni. Un’altro riguarda la formazione professionale di ragazze madri disoccupate.



LA MOGLIE DI LUCA ATTANASIO “ERA ORGOGLIOSO DI ME”

Progetti che rendevano orgoglioso il marito Luca Attanasio. «Sono progetti che avevo discusso con lui e che era pronto a sostenere. Luca mi diceva sempre: “Zakia sono orgoglioso di te, di quello che fai con Mama Sofia”. Dovrà esserlo anche se non è più fisicamente con noi». L’associazione Mama Sofia presto verrà registrata in Italia per essere utile, ad esempio, per stranieri e ragazze che non riescono a frequentare la scuola. Per ora Zakia Seddiki si è trasferita a Roma, come sognava di fare col marito: «Con Luca avevamo previsto questa città per dare radici alle nostre bimbe». Intanto la magistratura italiana indaga sull’omicidio dell’ambasciatore. Nel mirino è finito un funzionario del Programma alimentare mondiale e l’ipotesi è che sia responsabile di omesse cautele nella protezione non solo di Luca Attanasio, ma anche del carabiniere Vittorio Iacovacci in quel viaggio preparato dall’agenzia delle Nazioni Unite. Zakia Seddiki è convinta che l’inchiesta stia andando nella direzione giusta. «Ringrazio l’intero corpo diplomatico, sia coloro che stanno alla Farnesina sia coloro che sono all’estero, per avermi fatto sentire come se fossimo nella stessa famiglia. Ci hanno dato una mano per aspetti pratici, per tutto».



ZAKIA SEDDIKI “LUCA AVEVA UNA MISSIONE…”

Ma la moglie dell’ambasciatore Luca Attanasio non nasconde l’amarezza per una vicenda in particolare. «Non normale è sembrata una dichiarazione di un viceministro che ci ha ferito», dice al Corriere della Sera. Il riferimento è alla viceministro degli Esteri Marina Sereni, la quale alle interrogazioni al Senato ha spiegato che il diplomatico era a Kinshasa e per normativa gli spettava in autonomia «la valutazione dei rischi» e dotata dei «poteri organizzativi e di spesa». Una risposta di ufficio, non un accusa, ma ha fatto male lo stesso a Zakia Seddiki. «Lo so, ma in questo periodo così complicato una cosa del genere fa sentire male. Luca non era formato per fare il militare. Non ritengo spettasse a lui valutare e gestire la sicurezza. Faceva il diplomatico. Convinto di un’idea». La vedova contesta l’idea comune degli ambasciatori, quella cioè di funzionari che hanno una vita agiata e priva di rischi. «Sbagliano. Luca sosteneva che è un po’ una missione. E voleva far sentire ai missionari italiani la vicinanza dell’Italia. Li raggiungeva in posti difficili per dire: nel nome della Patria io, che la rappresento, vi sono vicino». E questo, dunque, anche in Congo.

Leggi anche

“Asse Minniti-Meloni per il Piano Mattei”/ Formazione e imprese in Africa: il retroscena sui progetti Med-Or