LA “RICETTA” DI ZAMAGNI SULLA CRISI

La crisi della pandemia, il caos per la guerra e ancora l’inflazione, l’aumento dei costi di materie prime ed energie: gli ultimi due anni e mezzo hanno avuto un impatto devastante nella realtà quotidiana di cittadini e lavoratori, con inevitabili ricadute sul fronte professionale e sociale.



Oggi al Festival Internazionale dell’Economia di Torino ha tenuto incontro con l’associazione “Lombroso 16” il professor Stefano Zamagni, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: anticipando alcuni dei temi del suo intervento a “La Stampa”, l’ex Presidente della Agenzia per il Terzo Settore riflette sul rapporto stringente tra felicità e condizioni economiche, tema centrale dell’incontro odierno. «O torniamo a rimettere al centro del discorso economico la categoria della felicità, ma non camuffata con quella dell’utilità, o dobbiamo aspettarci un peggioramento delle condizioni di vita», spiega il professore ed economista. Secondo Zamagni il peggioramento ulteriore che possiamo patire tutti, sempre se non si torna a considerare la felicità una categoria reale nella vita reale, «si avrà anche nella possibilità di avanzare sulla via del progresso perché le persone, quando sono infelici, non progrediscono»,



STEFANO ZAMAGNI: “PIÙ CHE I SOLDI SERVONO RELAZIONI”

La “ricetta” in fondo non è così astrusa: per il Presidente della Pontifica Accademia delle Scienze Sociale, «se si vuole progredire ci vuole innovazione», ma per farlo «bisogna rendere le persone felici, o almeno capaci di cercare la felicità».

Se questo non avviene, ravvisa ancora Stefano Zamagni a “La Stampa”, «sotto comando e obbligazione non si può innovare nulla». Il docente internazionale (insegna anche politica economica internazionale alla John Hopkins University) ravvisa come nel contesto della crisi globale l’Italia ha un grande vantaggio rispetto ad altri competitor occidentali, anche ben più strutturati di essa: «qui la filosofia utilitaristica non ha mai attacchino del tutto». Secondo Zamagni infatti, anche oggi «l’italiano medio si rende conto che per vivere bene servono relazioni e non solo un buono stipendio». Da qui il fenomeno sempre più frequente nella società occidentale delle “grandi dimissioni”: persone che lasciano un lavoro magari anche super remunerativo e ed elettrizzante sulla carta ma dove le condizioni di lavoro sono sempre più alienanti e umilianti. Per questi motivi occorre rimettere al centro il tema della felicità, da non separare più da lavoro e carriera: «per progredire le persone occorre renderlo in grado di cercare la propria felicità», rimarca il professor Zamagni.