«Il virus è clinicamente morto». Per questa frase il professor Alberto Zangrillo è stato coinvolto in accesissime polemiche. Ad un anno di distanza è tornato a parlarne. Lo ha fatto a “L’Aria che tira”, lanciando anche delle stilettate ai colleghi che lo hanno attaccato. «Non sono stato per nulla audace, ho semplicemente fotografato la realtà. È quello che fa il clinico. Se è bella, si sente maggiormente spinto a renderla pubblica. Un anno dopo non mi rimangio una virgola», la premessa del primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare. Poi è partita la frecciata: «Quella frase è stato oggetto di miserabili speculazioni da parte di tristi personaggi in quotidiana e affannosa ricerca della ribalta mediatica. Ho dato da mangiare loro per un anno, un anno dopo siamo qua e le dico che accade esattamente quello che è accaduto un anno fa, con la differenza che abbiamo un presidio rappresentato dai vaccini».
In collegamento con Myrta Merlino, ha ribadito un concetto espresso nell’aprile 2020: «Dissi che dobbiamo imparare a convivere col virus. Lo dissi sulla base dell’osservazione e lo dico a maggior ragione ora. Noi non sappiamo quanto ci tuteleranno i vaccini, auspichiamo in grande misura, per cui convivere vuol dire identificarlo e curare tempestivamente le persone».
ZANGRILLO “PREVISIONI? BASTA FRATI INDOVINI”
Nonostante non possa lanciarsi in previsioni, il professor Alberto Zangrillo resta ottimista, in quanto consapevole della forza del sistema sanitario nazionale e del fatto che la cura, non solo quella ospedaliera, ma soprattutto quella sul territorio, sia fondamentale contro il Covid. «Ci siamo fatti del male da soli dipingendo un numero di morti che non è assolutamente superiore a quello di altri paesi europei, come Francia e Inghilterra. Semplicemente li hanno contati in modo diverso. Noi abbiamo il dovere di lavorare per chi deve essere tutelato con tutte le forme e le misure, la prima delle quali è osservazione e cura», ha affermato il medico personale di Silvio Berlusconi a “L’Aria che tira”. Poi è andato all’attacco di alcuni colleghi: «Io non sono abituato a fare previsioni, non le ho fatte neppure quando ho detto che il virus era clinicamente morto. Io non lo so quello che accadrà tra tre mesi, ma abbiamo le idee chiare e dobbiamo lasciare poco spazio ai frati indovini, che cercando di sparare una cosa prima degli altri sperando che sia giusta. Noi dobbiamo essere seri». Questo vuol dire non focalizzarsi solo su strategie difensive, ma puntare anche sui medici di medicina generale, che «sono il fulcro del sistema sanitario nazionale».
ZANGRILLO VS LILLI GRUBER E GALLI
Secondo il professor Alberto Zangrillo, deve esserci una comunicazione diretta tra il medico ospedaliero e quello di base per il trattamento dei pazienti, così da evitare le ospedalizzazioni. Questa è una linea sposata ad esempio dal professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Bergamo. «È una persona animata da pragmatismo, logica e cultura. Coloro che hanno trovato spazio nelle vostre tv del vostro presidente Cairo sono persone che hanno speso molto del loro tempo mettendosi frettolosamente un camice perché si andava in onda e bisognava far vedere che si parlava dall’ospedale. C’è differenza con chi lo usa dalla mattina alla sera». Nel corso dell’intervista, ha riservato una stoccata anche a Lilli Gruber: «Non accadrà mai, ma se dovessi andare di fronte alla dottoressa Gruber avrei davanti il plotone d’esecuzione. Vengo da lei perché la considero leggermente più buona, meno animosa nei miei confronti». Ad un certo punto, invece, ha fatto delle affermazioni che sembrano un riferimento ad un altro esperto, Massimo Galli. «Io voglio essere lasciato in pace e se dico che non vado in televisione, riesco a stare via per 6-7 mesi. Faccio un mestiere in cui curo i malati, soprattutto quelli gravi e più difficili, anche quelli che vengono dal Sacco. Ne ho presi 5 che altrimenti sarebbero deceduti. Lo vada a chiedere ai miei colleghi del Sacco di cui ho grande stima».
“MASCHERINE? SE NON SERVONO…”
«Fare rianimatore vuol dire intubare ed estubare, ma curare le disfunzioni d’organo, curare i malati gravi che altrimenti muoiono. Bisogna essere medici completi, responsabili e umani, che accettano di sbagliare e prendersi le loro responsabili, se si sbaglia lo si fa in buona fede», ha proseguito Alberto Zangrillo. E se l’è pure presa con la comunicazione che spinge la gente a vivere col terrore. «Quando io sono in montagna, su un sentiero e vedo che c’è una persona in lontananza con la mascherina, penso che stia sviluppando una patologia psichiatrica. Bisogna comportarsi con intelligenza. I giovani non devono fare gli stupidi, ma in questo momento ci sono decine di migliaia di anziani tramortiti e spaventati, che non escono di casa da 15 mesi». Quando Myrta Merlino gli ha chiesto se quindi non sia necessario, ad esempio, indossare la mascherina se si è soli, lui ha replicato: «È la differenza tra essere un popolo di beoti e di persone responsabili».