Paolo Zangrillo, in una intervista a Il Mattino, ha parlato di come sarà la nuova Pa promossa dal Governo. “I due assi del buon funzionamento della Pubblica amministrazione, imparzialità e buon andamento, si legano a un modello organizzativo che ha nell’attrattività del lavoro pubblico il proprio tratto qualificante. Il cambiamento di approccio è prima di tutto culturale”, ha spiegato. Il presupposto di partenza per dei cambiamenti efficaci sta nel confronto con il mercato del lavoro nel privato. “In Italia molto spesso la Pa è stata un passo indietro”. L’obiettivo è fare sì che questo non accada più.



Le novità in programma sono diverse. “Stiamo spingendo per questa trasformazione che, rafforzata dai progressi e dalle opportunità offerti dal digitale, consenta a chi lavora nella Pa di seguire un percorso nel quale un criterio di valutazione premiale esalti le qualità delle migliori risorse”. Un avanzamento nelle retribuzioni sarà cruciale per spingere i lavoratori verso il settore. “Il tema del merito è strettamente connesso a quello delle retribuzioni. Dal 2010 al 2020 abbiamo perso 300mila unità per il blocco del turnover ma oggi abbiamo un piano di assunzioni che nel 2023 ha portato a 170mila nuovi ingressi con un impegno analogo nei tre anni a venire”.



Zangrillo: “Nuova Pa non più inferiore al privato, è un cambiamento culturale”. Gli obiettivi

I nuovi lavoratori della Pa, secondo quanto affermato da Paolo Zangrillo, dovranno avere delle competenze trasversali. “Stiamo insistendo molto sui cosiddetti soft skills delle nuove risorse, profili che incrociano, oltre alle competenze tecniche, l’orientamento al risultato, la capacità di lavorare in squadra, la propensione a vivere i cambiamenti come opportunità. Nei nuovi contratti sono previsti meccanismi meritocratici sulle retribuzioni perché pensiamo che il raggiungimento dei risultati sia la conseguenza di una virtuosa organizzazione”. Le assunzioni inoltre saranno molto più veloci.



Insomma, l’obiettivo è quello di evitare gli errori del passato. “Probabilmente finora c’è stata una fraintesa concezione della stabilità del lavoro, alimentata anche da un approccio burocratico, secondo la quale tale stabilità dipenda dalla natura del contratto (tempo determinato o indeterminato). Invece che dal profilo, dalle esperienze e dalle competenze della risorsa, vale a dire tutti quegli aspetti che la rendono competitiva sul mercato del lavoro”, ha concluso.