I militari russi sono sempre in giro e ascoltano ogni nostra sillaba” dichiara un tecnico della centrale nucleare di Zaporizhzhia, in Ucraina. L’uomo, sentito dal Corriere della Sera e rimasto anonimo per tutelare la sua sicurezza, dipinge il quadro di una situazione difficile all’interno della centrale. Al momento, a Zaporizhzhia si trovano gli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica inviati per indagare le condizioni della centrale più grande d’Europa. “Non mi aspetto molto dalla visita – confessa l’anonimo tecnico, che lavora a Zaporizhzhia da 15 anni – È un passaggio importante per fermare o almeno arginare per un po’ il terrore che si vive in questo luogo, ma il miracolo non avverrà. La composizione stessa della missione non mi rassicura: ci sono anche i russi. Saranno obiettivi?



La speranza dell’uomo, così come dei suoi colleghi e forse dell’intera Ucraina, è che il rapporto stilato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica al termine dell’indagine possa concludersi con la richiesta di ritirare da Zaporizhzhia le truppe di Mosca. “Parlare di catastrofe nucleare non è esagerato – spiega il tecnico – Bombardano in modo da non danneggiare il reattore, ma i militari non sono abbastanza preparati da capire come funziona qui. Anche un completo arresto potrebbe portare al disastro”.



Il racconto scioccante dalla centrale di Zaporizhzhia, “lavoriamo con fucili puntati”

Secondo l’anonimo tecnico della centrale di Zaporizhzhia, con cui si è messo in contatto Il Corriere della Sera, “È l’esercito russo a bombardare. Non siamo sordi, sentiamo il rumore delle granate e tre-sei secondi dopo c’è un’esplosione. Questo ci dice che il colpo è stato sparato da una distanza brevissima”. Ma ci sarebbero anche altri indizi sulla matrice russa degli attacchi: “Durante i miei turni, ho visto più volte i militari e il personale di Mosca lasciare in fretta e furia la centrale subito prima di un bombardamento. Vengono avvertiti dei missili che stanno per cadere, poi, con calma, tornano”.



Il tecnico racconta anche la situazione da un punto di vista più personale, confessando che “quando lavori coi fucili puntati non è semplice mantenere la calma. Da tre settimane, ogni volta che arrivo alla mia postazione, non so cosa mi aspetterà, non so se uscirò vivo da quelle stanze” e racconta di avere “paura per me, ma sono felice che mia moglie e i miei figli siano andati via. Non so cosa troverò quando tornerò a casa. Non so che fine farò”. E rivela che “Molti miei colleghi sono già stati interrogati, picchiati e torturati con scosse elettriche. Non vediamo un ragazzo della nostra unità da oltre due mesi. Non sappiamo nulla di lui, è ancora vivo?”.