La chitarra acustica, una voce più che discreta, il viso giovane ed i capelli lunghi. Da lontano ricorda vagamente Kurt Cobain. Uno dei tanti busker che popolano le città di mezzo mondo si è piazzato nell’angolo più fotografato della Petite France di Strasburgo e canta una manciata di canzoni. Come quella Zombie, dei Cranberries, così adatta a questi tempi di guerra: “with their tanks, and their bombs / And their bombs, and their guns”. Sullo sfondo le case a graticcio, il fiume che scorre tranquillo ed un briciolo di sole che cerca di spostare le grigie nuvole del cielo. Mi fermo per qualche istante, come incantato, cerco d’intercettare il sorriso timido e dolce di quel ragazzo, guardo le dita scorrere sicure sul manico della chitarra. La musica colora all’improvviso una città che è cuore d’Europa, anelito ad un cammino di pace e di condivisione troppo spesso disatteso e la rende all’improvviso più bella. La musica, ancora una volta, compie la magia di accompagnare i desideri migliori del nostro cuore.



Tra poche ore sarà il turno di Zaz, dal vivo al Palazzo della musica e dei congressi, tappa dell’Organique Tour passato anche dalla Royal Albert Hall di Londra e che la porterà a cantare in varie località francesi e  di tutta Europa, con qualche data anche in Canada, ad autunno. E’ l’atteso ritorno sulle scene per Isabelle Geffroy – Zaz è il nome d’arte – occasione anche per promuovere Isa, l’ultimo disco, uscito nell’ottobre dello scorso anno. Un nuovo album ed un ritorno sulle scene frenato non solo dalla pandemia.  Accade infatti che, dopo dieci anni di successo e di attività frenetica in giro per il mondo, la cantante subisca una battuta d’arresto. Siamo nell’autunno 2019 e Isabelle avverte la necessità di fermarsi: “Ero arrivata al punto in cui avevo perso l’equilibrio. Zaz si era impadronita di tutto lo spazio. Era come se volesse salvare il mondo. Ma io non sono un super eroe ed avevo bisogno di occuparmi di me stessa, di costruire la mia vita personale”.



“Non ne potevo più di Zaz – aggiunge per farsi capire meglio – volevo che morisse!”, perciò l’artista si ferma, proprio un attimo prima che scoppi la pandemia. E il Covid fa il resto. Isabelle si ammala e ne approfitta per smettere di fumare; introduce un’alimentazione più salutare, guarisce, legge, studia e compone. E trova anche nuovi affetti. Fino al giorno in cui, tre anni dopo, è finalmente pronta a rientrare: “Adesso Zaz può ritornare, perché Isa è stata nutrita ed ascoltata. Era come se, prima, soltanto Zaz ricevesse in qualche modo un nutrimento. Ma adesso è Isa che deve nutrire Zaz e non viceversa”.



Eccoci qua, dunque. Un ritorno sulle scene atteso dall’artista, ma anche dal pubblico che l’ha sempre amata ed al quale lei è mancata. E all’ingresso in sala si respira pure un’aria che sembra essersi liberata dal Coronavirus: il pubblico è senza mascherine – in Francia non sono più obbligatorie – e non vi è distanziamento tra le persone sedute. E quando partono le prime note di Les jours hereux, il miracolo si compie: Zaz compare dal fondo del teatro e, cantando mentre si avvicina al palco, si sofferma a salutare, a dispensare sorrisi, persino a stringere qualche mano, cercando quel contatto con la gente che per troppo tempo è venuto meno. Quasi un rito catartico, per tutti, mentre ci ritroviamo a capofitto dentro una canzone che sembra raccontare subito le nostre attese: “Lascia che la vita balli sui pianoforti a coda / Possa l’amore, gli angeli esaudire i nostri desideri”. Imagine è il secondo brano, sempre tratto dal nuovo disco, ed è una speranza che prosegue a camminare: “Siamo ciò in cui crediamo / E il mondo si illumina / Un futuro sta emergendo / Per i bambini quaggiù / ho letto la tua faccia / Questa indicibile speranza / che niente porterà via”. Si jamais j’oublie è la terza canzone: Zaz la introduce dicendo a tutti quanto sia bello ritrovarsi, ma anche di come sia vitale non dimenticare ciò che abbiamo vissuto. Dolce ed intensa, precede Qué Vendrà, ritmica e latina e mentre Zaz balla, sinuosa e sorridente, il testo della canzone ci avvolge, dentro quell’invito a vivere con pienezza la propria vita malgrado tutti i nostri errori.

Ce que tu es dans ma vie è autobiografica, narra della figlia del nuovo compagno della cantante – “ci sono delle persone meravigliose che sono entrate nella ma vita”, ci dice, prima di cantarla – ed è una canzone dove lo spirito di famiglia si fa strada attraverso una melodia struggente. De couleurs vives, come la precedente, è tratta dal nuovo disco ed è etichetta Zaz al cento per cento. Allegra e travolgente, dice tutto dell’artista: “Voglio vivere, ridere, libera / sono una donna dai colori vivi / e ciò significa tutto questo”. Anche i due brani successivi – Avec son frère, Et le reste – sono sull’ultimo album ed il primo dei due è intensissimo; Zaz lo introduce dicendo che non è possibile modificare il mondo ma solo noi stessi, ma questo rappresenta di per sé già un grande cambiamento. E le parole, in questi tempi di profughi, lacrime e stridori di denti che riempiono le strade, sono da meditare: “Oggi è tutto uguale, domani dove saranno? / Questi odori, questi colori sono per l’ultima volta / Conservare tutto a memoria nel profondo di sé (…) Lasceranno la loro città come già sanno / Che il futuro ha un prezzo prima d’essere una scelta / Lui è con suo fratello / Partiranno presto / Un segreto per suo padre / La promessa a sua sorella / Di proteggere suo fratello / Una volta lontani da qui / La lettera per sua madre / Grazie, scusa”.

Les passants e Comme ci, comme ça sono un tuffo nei dischi del passato, mentre lo spettacolo si fa sempre più intenso. Zaz indossa una sorta di salopette nera da sera abbellita dagli strass sotto la quale si intravedono un simpatico paio di anfibi ed appare a suo agio, con quella voce – la più bella voce francese da dieci anni a questa parte – che anima sia i momenti vivaci, allegri e danzanti, che quelli più intimi e intensi. Oublie Loulou, di Aznavour e Paris sera toujours Paris, di Maurice Chevalier sono il dovuto omaggio alla canzone d’autore del suo paese, ma la resa è straordinaria.

La prima si trasforma, al termine, in una scatenata improvvisazione jazz, mentre la seconda diventa un fantastico swing, con Zaz che gioca e si diverte coi musicisti, ammiccando loro, e col pubblico, trasformando le parole del testo in cui Strasburgo prende il posto di Parigi. Poi è di nuovo un tuffo nella produzione del passato: Laissez-moi, in cui la cantante trascina il pubblico, chiedendo di battere le mani – che peraltro non sono mai riuscite a rimanere ferme – fino alla fine del brano, punteggiato da uno splendido assolo di chitarra rock. E con arrangiamento rock è eseguito anche il brano successivo – On s’en remet jamais – mentre la successiva La fée ci riporta ai brani più belli del primo disco, quello del 2010 che la lanciò nell’olimpo della musica di successo.

Con A’ perte de rue e Tout-là-haut ci gettiamo di nuovo nelle canzoni del nuovo disco. Sulla scena irrompe una scala sulla quale Zaz sale e sono parole rese così ancor più incisive: “è bello essere liberi / si gustano le stelle da lassù/ si dimenticano le certezze / Si ama la solitudine / fermarsi in cima / far cadere il velo in alto / Non giocare più d’artificio / Sappiamo perché resistiamo / e allora vieni ,forza, vieni, vieni”. La successiva Déterre è ancora un invito a svegliarsi, a decidere per un cambiamento della propria esistenza; brano che parte lento, diviene sempre più intenso e, giocato ancora una volta su un registro rock, vede di nuovo il pubblico tutto in piedi. Si je perds rallenta la corsa, è un inno alla perdita, dove il pensiero va a tutti coloro che, come la stessa Zaz, vivono il dolore di una persona cara avviata sul ripido pendio del decadimento ed il canto si arrampica sempre più, sino a che i vocalizzi si armonizzano a lampi di luce che rendono drammatico il finale della canzone.

La successiva Eblouillée par la nuit è una sulle sue canzoni più intense di sempre, dove la voce raggiunge acuti quasi inimmaginabili e le parole appaiono al contempo magiche e misteriose. Poi è l’apoteosi finale. Intimismo e commozione cedono il passo a frenesia e gioia di vivere e Je veux, e On ira vedono tutto il pubblico in piedi, a cantare, ballare e battere le mani. Potrebbe terminare tutto qui, ma il bis finale, appassionato e intenso, è da ascoltare in silenzio, rimanendo tutti in piedi. Le chant des grives è l’inno alla fragilità, alla dignità di vite difficili e sfidanti, a coloro che devono “dipingere notte e giorno uscite di sicurezza”. Eccola, l’empatia che Isa ha imparato a prendere su di sé e che ha regalato a Zaz. E che ha consentito all’artista di tornare a calcare le assi dei palcoscenici con una serenità ed una consapevolezza nuove, perché il suo desiderio di felicità e verità aveva bisogno di essere clarificato dalle vicende della vita.

Il concerto è finito. I musicisti – bravissimi – sono felici e sorridenti. Zaz è splendente e luminosa. Saluta tutti, riceve biglietti e regali dagli spettatori delle prime file, firma autografi, scatta selfie con alcuni. Appare felice, insieme alla gente che lo è con lei. Zaz che ha vissuto il successo e poi ha frenato lungo il rettilineo della pandemia e della ricerca di sé. Zaz che è ridiventata Isabelle e che è ritornata Zaz. Zaz, un’artista strepitosa, a tutto tondo, non solo per francesi, e che alla fine commuove. Perché la buona musica appartiene a tutti.