La visita a Roma del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha degli aspetti che suscitano diversi interrogativi. Prima l’incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durata complessivamente un’ora, con la ribadita solidarietà incondizionata dell’Italia nel contrasto all’invasione russa, quella che doveva durare una settimana al massimo per occupare Kiev e invece si avvia verso una guerra che dura da quasi un anno e mezzo e con Vladimir Putin che deve già contare perdite che starebbero sfiorando i 200mila uomini.
Un disastro nel cuore dell’Europa, che porta inevitabilmente a immaginare scenari inquietanti che ricordano le visioni, purtroppo azzeccate, degli storici come Christopher Clark quando scriveva I sonnanbuli, quelli che non vedevano l’arrivo imminente di una grande e disastrosa guerra mondiale, la prima, che fu poi l’antefatto della svolta a destra dell’Europa occidentale, in Germania e in Italia, e pose le premesse della seconda guerra mondiale.
Gli incontri, la solidarietà, la condanna dell’aggressione russa, l’accusa a Putin di crimini contro l’umanità sono certamente necessari, forse si dovrebbe dire inevitabili e indispensabili, ma non evitano i pericoli di una guerra ancora più lunga e soprattutto l’incubo di un conflitto che può allargarsi. Occorre essere realisti e riconoscere che qualsiasi accordo, qualsiasi cessate il fuoco “giusto” (che rispetti cioè i diritti dell’Ucraina ed eviti di umiliare oltre il lecito e il necessario la Federazione Russa) è meglio di qualsiasi vittoria parziale o totale. Ma gli incontri di ieri del leader ucraino con il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e il Papa sollevano interrogativi più che speranze concrete.
Anche perché si deve prendere atto che stiamo vivendo e vivremo per lungo tempo un lungo periodo di caos a livello geopolitico mondiale. Terminata la Guerra fredda, spazzato via dalla storia il socialismo reale dell’Urss (il comunismo leninista), trasformatasi la Cina in un enigma istituzionale, un ircocervo a tre dimensioni, che fa convivere capitalismo, comunismo e confucianesimo, non è affatto finita la storia e soprattutto non si è realizzato, anzi ormai da anni è fallito il sogno della globalizzazione nella versione a stelle e strisce, che gli Stati Uniti prevedevano di realizzare in questo secolo dopo aver sostituito quello dell’egemonia inglese, a partire ( se ne accorse perfettamente John Maynard Keynes) dagli accordi di Bretton Woods del luglio 1944.
Oggi, anno 2023, c’è purtroppo quella che si chiama “transizione egemonica” in corso. Gli Stati Uniti hanno perduta la loro egemonia, il loro sogno è svanito e nessuna nuova guerra può farlo rivivere.
A questo punto sono diversi i Paesi che possono oggi aspirare a una nuova configurazione egemonica. Attenzione. Nessuno ha la capacità di vedere esattamente il futuro. Quindi è lecito chiedersi se la transizione egemonica in corso potrebbe portare a una riedizione, a una nuova stagione dell’“impero americano”. È una cosa che molti ritengono molto ardua e che prevede una rivisitazione degli Stati Uniti. Insomma, prima servirebbe studiare esattamente le ragioni della crisi, le ragioni di un modello che non stava in piedi.
Ci sono almeno tre fattori che emergono dal modello americano di globalizzazione fallito. Il primo è uno squilibrio senza precedenti tra finanza ed economia reale con conseguenze inimmaginabili di differenze sociali. Il secondo lo abbiamo già ricordato ed è la fine del paradossale ma utile “scudo” della Guerra fredda. Il terzo è la perdita di attrazione della stessa vita americana in tutti i suoi risvolti oltre a quello principalmente politico. Basta pensare all’irruzione di un personaggio come Donald Trump sulla scena politica americana e all’incertezza della risposta dei democratici americani: non ci sono più i Kennedy, ma non c’è più neppure un Lyndon Johnson, che nonostante gli errori fu l’autore della “Great society”. La visione perseguiva due obiettivi principali di riforme sociali: l’eliminazione della povertà e dell’ingiustizia razziale. Furono lanciati nuovi grandi programmi di spesa nel campo dell’istruzione, delle cure mediche, dei trasporti, dei problemi urbani. La “Grande società” di Johnson si ricollegava idealmente per i suoi obiettivi e per le sue politiche al programma del “New Deal” del presidente Franklin Delano Roosevelt.
Quanto è lontana quell’America! E nello stesso tempo gli Usa con gli errori della loro ideologia globale, con quello che spesso hanno provocato, hanno pure rispolverato tanti risentimenti che nel passato avevano provocato con il colonialismo altri Paesi occidentali.
La situazione del grande caos geopolitico è questa, descritta schematicamente.
A questo punto, ci vorrebbe una grande Europa, la grande civiltà che ha espresso, pur con fatica, errori e contraddizioni. In fondo dove è nata la democrazia? Dove è stato concepito il riformismo che ha sempre costituito una speranza di progresso? Dove sono nate le grandi trasformazioni storiche per secoli che hanno rilanciato il mondo intero?
È l’ Europa che dovrebbe ispirare un nuovo riassetto e un nuovo riequilibrio geopolitico. Ma diciamolo francamente: se l’egemonia dei grandi imperi emersi o emergenti è fallita e provoca un grande caos, l’Europa, con le sue divisioni, sembra un continente che ha perso la sua antica saggezza, come le è capitato nel Novecento, precipitando in due guerre.
L’Europa che ha inventato il Welfare State, l’Europa che è cresciuta dall’ultimo dopoguerra all’ombra del riformismo, l’Europa dei De Gasperi, di Adenauer, l’Europa dei fratelli Rosselli si è piegata alle avventure del neoliberismo, alla “peste” della nuova finanza dilagante, all’ammirazione nostalgica e caricaturale delle ideologie che hanno caratterizzato le grandi potenze. In questo modo è entrata nella crisi mondiale e cerca solo di trovare un assetto al suo interno di piccola egemonia al carro della grande potenza, qualsiasi essa sia. È così che l’Europa si appresta a giocare la piccola partita delle elezioni europee del prossimo anno. Una partita da piccola soddisfazione, da “comunali” del pianeta.
Scusateci ma appare indisponente, per chi crede nell’Europa dei “grandi del dopoguerra”, che sia già partita un’operazione che vuole solo rovesciare la maggioranza che esiste adesso a Bruxelles. Ammettiamo pure che Giorgia Meloni, presidente del gruppo dei Conservatori e dei Riformisti europei (Ecr) riesca a sostituire la maggioranza che oggi governa una Unione Europea basata principalmente sull’euro. Che cosa otterrà? E che cosa può ottenere una maggioranza come quella attuale costituita dai centristi e da una sinistra che ha rinnegato tutti i suoi ideali?
Forse, prevalesse la saggezza di una antica civiltà, dovrebbe essere arrivato il tempo di una grande autocritica. A quel punto, forse, guerre ed errori grossolani si potrebbero fermare. Magari contribuendo anche a mettere uno stop al grande caos dell’egemonia perduta.
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