“Immaginate una Genova bruciata dalla quale scappano persone in macchine e pullman, un esodo per cercare di salvarsi” ha detto ieri il presidente ucraino Zelensky al parlamento italiano. Genova al posto di Mariupol. E poi il numero che nessuno vorrebbe sentire, la tragica contabilità dei bambini rimasti vittime delle bombe russe: 117. “Sono migliaia le vite di feriti oltre alle case abbandonate. Nei quartieri delle città seppelliscono i morti nelle fosse comuni. 117 purtroppo non sarà il numero finale”. E ancora: i russi “non si fermeranno all’Ucraina, il loro obiettivo è quello di influenzare l’intera Europa inficiando i valori della democrazia e della libertà”. All’Italia Zelensky non ha chiesto armi – il 3 marzo scorso un decreto del governo ne ha già deciso l’invio, e Draghi vuole inviarne altre – ma nuove sanzioni. Prontamente confermate.



Dopo il presidente ucraino è toccato a Draghi. “Vogliamo disegnare un percorso di maggiore vicinanza dell’Ucraina all’Europa: è un processo lungo fatto di riforme necessarie. L’Italia è a fianco dell’Ucraina in questo processo. l’Italia vuole l’Ucraina nell’Ue”, ha detto il presidente del Consiglio.



“Il vero fatto politico non è stato il discorso di Zelensky, ma quello di Draghi” dice Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, già componente di AgCom e Antitrust. “Come se i due si fossero divisi i compiti. Draghi ha detto parole di atlantismo militante e ha riproposto il tema dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue in modo molto forte”.

Partiamo da qui. Qualcuno ha osservato che la sintesi politica del presidente del Consiglio va oltre quanto espresso dal parlamento.

Direi che Draghi si è spinto rapidamente innanzi nella strada aperta dal parlamento. Nelle emergenze, come abbiamo visto in tempo di Covid, il governo e il presidente del Consiglio hanno margini ampi di iniziativa.



Ucraina, Moldavia e Georgia hanno formalizzato la domanda di ingresso nell’Ue nei giorni successivi all’invasione; von der Leyen ha detto che “l’Ucraina è una di noi” (27 febbraio) e che il percorso è iniziato (18 marzo).

Il processo di adesione, come sappiamo, è lungo e complesso e queste sono dichiarazioni politiche. Non per questo sono meno importanti. Tutti speriamo che questa fase di stallo, in cui la trattativa non sembra ancora decollare, sia superata e si cominci un negoziato reale. Anche il tema dell’adesione all’Ue credo faccia parte del negoziato, proprio per questo forse andrebbe gestito con cautela.

L’Ue non fa parte delle trattative, nondimeno è un elemento che potrebbe comprometterle; è questo che intende?

Bruxelles farebbe bene a favorire il negoziato avvicinando le parti, non mettendo sul tavolo temi di cui non si sa se aiutano o dividono. In questa fase si dovrebbe fare tutto il possibile per promuovere un accordo; vedo invece che c’è una certa tendenza, da parte di attori esterni, ad acutizzare la situazione.

Quali attori esterni?

Mi riferisco alla Polonia, ad esempio, e ad alcune sue proposte: l’esclusione della Russia dal G20, o la fornitura di Mig a Kiev bloccata poi dagli Usa.

Ieri Di Maio ha detto che l’Italia è pronta ad un quinto pacchetto di sanzioni antirusse. Questi provvedimenti secondo lei avvicinano o allontanano la soluzione?

C’è il livello di chi sta combattendo sul campo, cioè Ucraina e Russia; poi c’è il livello che comprende tutti i Paesi che non sono parte combattente, ma sono alleati dell’Ucraina e cercano di incidere. A me pare che dall’esterno si possa incidere in due modi: prendendo iniziative che avvicinano le parti oppure drammatizzando la situazione. Aumentare le sanzioni o mettere al centro il tema dell’adesione alla Ue non credo che porti Mosca a considerare il negoziato con maggior favore.

Ieri sulla Stampa Domenico Quirico ha scritto che “il piano numero uno di Biden, della Nato e anche degli europei è uno solo: che qualcuno a Mosca uccida Putin liberandoci del fardello”. Che ne pensa?

Prendiamolo non come un auspicio, ma come una notizia. Uno degli obiettivi degli americani, e poi degli europei che l’hanno fatto proprio al cento per cento, sembra effettivamente quello di creare forti contraccolpi istituzionali in Russia. Potrebbe non essere una strategia maturata con l’inizio della guerra.

A quando risalirebbe?

A quando la tensione era già in atto, anche se non occupava le prime pagine, e non si sono fatti tutti i passi politici e diplomatici che si potevano fare per disinnescarla. Resto convinto che in politica raramente le cose siano già scritte, e che di conseguenza l’invasione dell’Ucraina fosse per Putin solo una delle opzioni possibili.

Quale iniziativa politica avrebbe potuto favorire azioni diverse?

Non lo sappiamo, ma dobbiamo seriamente chiederci se si sia fatto tutto il possibile.

Torniamo al regime change in Russia.

La scelta da parte americana di una linea tendente a creare il massimo dei danni possibili alla Russia squilibrandone la leadership mi sembra molto pericolosa. Non soltanto perché la Russia è la seconda potenza mondiale in termini di armamenti, ma perché mi sembra una strada di cui non sono chiare le conseguenze. Una Russia in crisi, o che perde pezzi, è un vantaggio per l’Occidente oppure no? È un fattore che consente all’Occidente di espandere la democrazia oppure che crea ancora più instabilità?

“Espandere la democrazia”? Un obiettivo che i democratici americani sottoscriverebbero.

Non ci interessa ora discutere se sia giusto o sbagliato; prendiamolo alla lettera. Chi ha detto che un cambio di leadership a Mosca vedrebbe Navalnyj al posto di Putin? E se portasse piuttosto a una dittatura feroce? O al caos? O a un Cremlino ridotto a una succursale della Cina?

Non lo sappiamo.

Appunto. Immagino però che qualcuno si sia posto queste domande e abbia delle risposte.

Perché Zelensky nel suo intervento al parlamento italiano non si è spinto più avanti, come ha fatto in Israele o in Germania, dove ha suscitato anche forti critiche?

È probabile che abbia pensato di non calcare troppo la mano in un Paese come l’Italia, che sa essere schierato dalla parte dell’Ucraina oltre ogni tentennamento.

A proposito di Italia schierata. Ritiene che l’informazione sia a senso unico?

Mi pare si sia creata una situazione di grande retorica a cui quasi nessuno sfugge: non i partiti, non la maggior parte dei media. C’è una bolla totalizzante che non aiuta a capire.

Capire che cosa? Che l’Ucraina è un paese invaso e che si viene uccisi dalle bombe?

No. Non aiuta a capire che quello che vediamo non è cominciato alle 5 del mattino del 24 febbraio scorso. Tutti gli eventi precedenti sono stati messi in ombra. Nell’informazione, nell’opinione pubblica e in coloro che sono chiamati a prendere decisioni sono venute a mancare sia la percezione storica degli eventi, sia la politica. Si è arrivati alla guerra nella pressoché totale assenza di iniziative politiche.

E quindi?

Ritengo che la capacità politica e la conoscenza della storia siano, in fondo, ciò che veramente serve per fare un negoziato, oppure per facilitarlo. Infatti è quello che non sta avvenendo.

Anche se tutto è ancora in movimento, quali potrebbero essere le ricadute della guerra in Ucraina sulla politica italiana?

Finché c’è la guerra il governo Draghi è forte. Come si distribuiranno le carte più avanti dipende da come evolvono i fatti e si concluderà la guerra. Una cosa è certa: non sarà più la politica italiana a imporre le scelte, ma il nuovo assetto internazionale. Ancor più di quanto avviene adesso.

(Federico Ferraù)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI