L’incontro fra Zelensky e Papa Francesco non è stato certo formale, né inutile. È emerso, infatti, il ruolo importante della Santa Sede nel delicato compito di facilitare lo scambio dei prigionieri, sia civili che militari. Forse non tutti sono in grado di capire e di apprezzare convenientemente l’importanza di questo fatto, che dice di un impegno che non è contro nessuno e che, realmente, da luogo a un gesto di reciproca solidarietà.



Non solo i parenti e gli amici degli israeliani rapiti il 7 ottobre, ma chiunque di noi ha provato ad essere in ansia per qualcuno che si sa lontano e in condizioni di evidente pericolo, può comprendere come il ritorno a casa di queste persone, tra cui non pochi bambini, sia qualcosa di importante: non meno che l’invio di armi o di aiuti umanitari. E per di più, lo ripeto, avviene per un accordo che prevede il dialogo e la reciprocità.



Un’osservazione interessante mi pare anche quella che oggetto dell’incontro con il Papa è stato quello della possibilità di “una pace giusta”. Il tema non è stato, come di recente, quello della vittoria come premessa di una “pace giusta”.

Più volte la Santa Sede ha sottolineato, anche in incontri riservati, che la “pace giusta” la si può ottenere solo se nessuno, dopo una guerra così sanguinosa, debba sentirsi sconfitto. Neanche l’“ingiusto aggressore”. Non è solo una questione di realismo da parte della diplomazia vaticana, ma la conseguenza della convinzione che se è vero che la guerra è un metodo inaccettabile di dirimere le questioni, una “pace giusta” è tale solo se non parte dalla sconfitta dell’aggressore.



I trattati di pace stipulati dopo la prima e la seconda guerra mondiale ci insegnano che, a volte, l’umiliazione del nemico sconfitto ha portato ad una nuova situazione che è divenuta la premessa per un nuovo conflitto. Basti pensare al desiderio di rivincita su cui Hitler ha costruito gran parte del suo potere, o quel diffuso risentimento dei Paesi occupati dall’URSS dopo la seconda guerra mondiale.

C’è infine da notare che nei colloqui in Vaticano la Santa Sede non ha mancato di rinnovare la sua preoccupazione per certe decisioni del Parlamento e del Governo ucraino che tendono a legare la Chiesa, le Chiese, a cominciare da quella ortodossa, ad un proprio controllo. Una Chiesa cattolica, cioè universale, non può non sentire in contraddizione con il messaggio evangelico la tentazione di qualunque Stato di ridurre, come è già successo in passato, la religione a strumento di potere.

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