È dall’emanazione dell’ultima Legge delega per la riforma fiscale (la legge 9 agosto 2023, n. 111) che il tema della Zes Unica è al centro del dibattito politico ed economico nazionale. Ulteriore spazio e attenzione ha guadagnato da quando, nel tardo pomeriggio dello scorso 24 luglio, l’Agenzia delle Entrate ha comunicato di aver rideterminato, al ribasso, la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile da ciascun beneficiario, generando non poche perplessità e preoccupazioni in tutti gli stakeholders potenzialmente interessati. Le aspettative erano, di fatto, ben diverse.
Secondo quanto preannunciato, del resto, la forbice applicativa della misura in esame avrebbe potuto corrispondere sino al 70% dell’investimento complessivo. Diciassette virgola sei per cento – questa l’espressione per esteso di una fredda cifra: 17,666% – è il nuovo coefficiente cui fare riferimento, non già, peraltro, da calcolarsi sull’importo globalmente investito, ma su quello corrispondente al credito d’imposta già richiesto (equivalente, ad esempio al 60% o al 40% dell’investimento candidato). È di tutta evidenza, è appena il caso di precisarlo, come l’applicazione pratica di tale meccanismo riduca ulteriormente i margini del beneficio in esame.
Si tratta, tuttavia, di una sfilza di numeri da non leggere asetticamente, ma, viceversa, quale chiave interpretativa delle concrete conseguenze che, nel medio e lungo periodo, potrebbero derivarne, in termini di attrattività degli investimenti e degli effetti positivi a essi connessi. Il modello della Zes Unica, ossia la configurazione di un’unica, estesa, macroarea fiscalmente agevolata (una sorta di macroregione), con una cabina di regia governativa (e dunque caratterizzata da una gestione centralizzata) risponde, infatti, a un preciso disegno di politica economica volto, in via immediata, seppur nei tempi fisiologicamente necessari, a stimolare un rilancio complessivo della produttività delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia.
Le Zone economiche speciali, parcellizzate e diversificate in quanto rispondenti a singole e autonome aree geografiche, furono già istituite nel 2017, divenendo tuttavia operative solo nel 2021 e generando, in questo breve arco temporale, un impatto sostanzialmente positivo sia sulle economie locali che su scala nazionale. La “Super Zes” costituisce, tuttavia, un istituto assolutamente nuovo, dalla cui applicazione potrebbero derivare condizioni ed effetti complessivamente favorevoli agli investimenti che, va detto, non si esauriscono nell’ambito della mera agevolazione tributaria.
Appare inevitabile, in tal senso, ripensare, a più di trent’anni di distanza all’esperienza della c.d. “Cassa per il Mezzogiorno”, al netto, beninteso, di rilevantissime diversità sistemiche e strutturali.
Ne parliamo con il Prof. Salvatore Villani, ricercatore e professore aggregato di Scienza delle Finanze presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, autore di numerose pubblicazioni scientifiche in tema di finanza degli Enti territoriali, di fiscalità d’impresa e di economia pubblica in generale, avvocato e coordinatore della Commissione di Studi di diritto tributario istituita presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
La Super Zes può in qualche modo, lungo una ideale linea di continuità, favorire quei processi virtuosi di crescita industriale alla cui attivazione, fino a un certo momento storico, assolse con efficacia, la Cassa per il Mezzogiorno?
C’è stato un tempo in cui, sulla base di un modello teorico originale e di un grande progetto di sviluppo dell’economia italiana (intesa nel suo complesso), si è dato vita a un’esperienza tanto importante quanto eccezionale, che è riuscita a produrre risultati significativi sia in termini di sviluppo economico che di infrastrutturazione del territorio. L’esperienza in questione, legata all’azione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale (la c.d. “Cassa per il Mezzogiorno”) e alle politiche di intervento straordinario nel Mezzogiorno (1950 -1992), si concretizzò ed ebbe successo perché favorita da una speciale convergenza di interessi (tra Stati Uniti, Italia e Mezzogiorno) e da un’ampia collaborazione istituzionale.
Condizioni che non si sono più avute in seguito…
Quelle condizioni non si sono più verificate nei decenni successivi e il passaggio dall’intervento straordinario a quello ordinario nelle aree depresse del territorio nazionale non è riuscito a produrre risultati altrettanto significativi. Con l’avvento di una nuova politica industriale, incentrata sulla privatizzazione delle imprese pubbliche e sulla distribuzione “a pioggia” degli incentivi, ogni aspirazione a creare uno sviluppo che sia capace di autosostenersi – come teorizzato dall’economista polacco Paul N. Rosenstein Rodan (che collaborò alla redazione del Piano Vanoni e fornì un importante contributo alla progettazione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno) – è venuta meno ed è definitivamente fallita ogni possibilità di completare quella strategia di riequilibrio territoriale che era stata così faticosamente avviata con l’esperienza della Cassa. Trascorsi ormai più di 30 anni da allora, con la Zes Unica si presentano, di nuovo, all’orizzonte quelle opportunità di crescita. Il nostro Paese potrebbe, in altre parole, riprendere quella strategia capace di attivare il processo virtuoso cui lei alludeva e portarlo a termine. Allo stato attuale, tuttavia, quell’opportunità stenta a trasformarsi in una prospettiva realistica e concreta.
Perché?
I fondi destinati al finanziamento delle agevolazioni fiscali previste a favore delle imprese che hanno deciso di investire nella nuova Zona economica speciale sono, evidentemente, insufficienti. In verità tale insufficienza quantitativa era emersa già relativamente alle preesistenti Zes regionali, territorialmente più limitate. Questo discorso vale ancor di più per la nuova cosiddetta Super Zes diffusa, di recente istituzione. Intendiamoci, rispetto alla precedente disciplina, si riscontrano senza dubbio dei miglioramenti: la copertura finanziaria è superiore e i vantaggi fiscali assicurati dal credito d’imposta istituito con il D.L. 124 del 2023 (cosiddetto “decreto coesione”) sono parimenti superiori. La convenienza a investire in un luogo anziché in un altro non è determinata, tuttavia, esclusivamente dal fattore fiscale. Sono determinanti, infatti, anche altri fattori, che io definirei “ambientali” o “di contesto”, come l’offerta di beni e servizi pubblici, i costi di accessibilità alle infrastrutture, una giustizia celere ed efficace, che assicuri realmente il rispetto dei contratti, avanzati modelli di “compliance” atti a prevenire il rischio di infiltrazioni delle mafie nell’economia legale. Tutti questi elementi, al momento, ancora non ci sono e bisognerebbe lavorare molto per introdurli ex novo o per migliorarli, ove siano insufficienti.
Il Presidente della CNA della Calabria, Giovanni Cugliari, ha affermato che la decurtazione del credito d’imposta (su cui si è negativamente espresso anche il Ministro Raffaele Fitto), derivante dall’esiguità delle risorse economiche (1,7 miliardi di euro) a fronte delle richieste pervenute (9,4 miliardi di euro), comporterebbe, di fatto, la sostanziale eliminazione e inefficacia della cosiddetta Super Zes. Lei ritiene che sia così o pensa che la promozione di una ripresa industriale nel Mezzogiorno d’Italia possa essere stimolata anche da misure e strategie ulteriori, in altri termini da una complessiva riforma del sistema degli incentivi connessi alla istituzione della Zes unica?
La riforma degli incentivi a favore delle imprese e la disciplina delle agevolazioni fiscali concesse alle aziende che operano e investono nel territorio della Zes Unica per il Mezzogiorno sono strettamente correlate e interdipendenti. Le risorse non possono essere sperperate o distribuite a pioggia come avvenuto in passato. È necessario creare un sistema organico di incentivi che serva ad attuare il principio della più ampia coesione sociale economica e territoriale per lo sviluppo economico armonico ed equilibrato della nazione. Le norme contenute nella legge delega di riforme del sistema di incentivo alle imprese (L. 160/2023) si prefiggono proprio questo importante obiettivo. L’auspicio è che si riesca finalmente a realizzarlo dopo i tentativi effettuati senza successo negli anni passati. I difetti e le criticità dell’attuale sistema di incentivi alle imprese che operano nelle aree deboli del Paese sono ben risaputi. Nonostante gli sforzi dei Governi che si sono avvicendati negli ultimi anni, si continua a spendere moltissimo per incentivi la cui efficacia e utilità è tutta da dimostrare. mentre si investe ancora troppo poco in quei beni e servizi pubblici, di natura strutturale e sistemica, che sono davvero importanti per sostenere e stimolare la crescita economica nel lungo periodo.
È stato detto, in questi mesi, da alcuni osservatori politici che la previsione di un’area fiscalmente agevolata, come quella del Mezzogiorno d’Italia, costituirebbe una sorta di meccanismo compensativo della dirimente revisione dei principi cardine della Carta Costituzionale in cui secondo molti consisterebbe l’Autonomia differenziata. Secondo il direttore dello Svimez, Luca Bianchi “se fosse un contentino, non sarebbe compensativo di nulla, Parliamo di cose diverse e non paragonabili. Zes e Autonomia differenziata sono due modelli incompatibili: l’uno teso a ricostruire un’unità di interventi per il Mezzogiorno; l’altro volto a frammentare ulteriormente le politiche pubbliche in questo Paese”. Qual è la sua opinione in merito?
Teoricamente tra Zes Unica e autonomia differenziata non sussisterebbe alcuna incompatibilità. Le perplessità riguardano in realtà l’attuale concreta traduzione in pratica di quanto è stato previsto nell’ articolo 116 terzo comma della Carta Costituzionale. Il modello di autonomia differenziata proposto dalla Lega e dal Governo Meloni non è funzionale agli interessi del Paese. Esso, piuttosto, è strumentale al soddisfacimento degli interessi e delle esigenze della sua parte più forte e sviluppata, così come, in modo strumentale, è stata utilizzata, per promuoverla, la nozione di “residuo fiscale” coniata negli Stati Uniti negli anni ’50 per trovare una giustificazione di carattere etico ai trasferimenti di risorse dagli Stati più ricchi e quelli meno ricchi. Il principio che ha ispirato, fin dall’inizio, il modello di autonomia differenziata proposto è, al contrario, quello dell’appropriazione delle risorse prodotte sul territorio. Tale principio, tuttavia, contraddice quanto è previsto in altre norme della Costituzione. Il riferimento è, in particolare, all’articolo 53, all’articolo 117 comma secondo, lett. m) e, infine, all’articolo 119 comma terzo e comma quarto.
La raccolta di firme contro l’autonomia differenziata ha superato in pochi giorni la quota necessaria per indire il referendum, ossia quella di 500.000 firme: ora cosa succederà secondo lei?
I propugnatori dell’autonomia differenziata hanno già obiettato che la raccolta di firme sia stata fondata su una campagna di notevole disinformazione. Prevedo, dunque, un ulteriore inasprimento dei toni. Il dibattito, inizialmente inesistente, si farà più acceso finché la legge non sarà abrogata. La campagna referendaria ha dimostrato che si tratta di un provvedimento sbagliato, nato solo per dividere il Paese e per arrecare danno ai cittadini.
(Vittorio Pisanti)
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