Fallimentare esperimento del Governo con la Zes Sud. Un intervento atteso da tante aziende si è risolto, per il momento, in quello che si profila essere uno spreco di 1,8 miliardi di euro volatilizzati in piccoli finanziamenti inutili e improduttivi.

Per gli investimenti previsti dalle imprese, con un provvedimento del 22 luglio, l’Agenzia delle Entrate ha fissato la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile al 17,6668%: questa cifra è il risultato del rapporto tra le risorse disponibili, pari a 1.670 milioni di euro, e l’ammontare complessivo delle richieste pervenute, che ha raggiunto i 9.452.741.120 euro.



L’intensità del credito provvisoriamente concessa sarà quindi del 10,60% per le piccole imprese, dell’8,83% per le medie imprese e del 7,07% per le grandi imprese, a fronte di percentuali massime previste rispettivamente del 60%, 50% e 40%; questo nelle regioni più svantaggiate quali sono Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Basilicata e Sardegna.



Le intensità effettive di contributo (tramite credito d’imposta) saranno note solo a febbraio del prossimo anno, in base agli investimenti effettivamente realizzati dalle aziende entro il prossimo 15 novembre e certificati.

Sono state quindi deluse, almeno per il momento, le aspettative delle imprese che hanno effettuato o prevedevano di effettuare investimenti nel corso dell’anno.

L’intensità di aiuto è certamente destinata a incrementarsi, considerando, tra l’altro, che molti investimenti, tra quelli per cui è stato richiesto il credito d’imposta entro l’ultima scadenza del 12 luglio scorso, non saranno realizzati, nel bene e nel male. Nel “bene” perché l’agevolazione sarà maggiore, nel “male” perché molte possibilità di investimento andranno perdute e anche perché non viene certo agevolata la possibilità di programmare gli interventi, specie da parte delle piccole e medie imprese.



La nuova normativa sulla Zes Unica Sud, che ha sostituito il vecchio credito di imposta Mezzogiorno, aveva cercato di correggere alcune distorsioni della vecchia normativa (eccessiva frammentazione della spesa, spesso incoerente con la normativa europea di “investimento iniziale”), ma ha finito per causare, almeno nella situazione attuale, un disastro con quasi due miliardi di spesa pubblica, tra incentivi e spese di struttura, con piccoli finanziamenti a pioggia che non produrranno certamente un effetto incentivante agli investimenti. Era invece una nota positiva l’introduzione di un investimento minimo di 200 mila euro, proprio per evitare la dispersione.

Vediamo quali sono a nostro avviso le cause che hanno provocato questo incredibile flop delle scelte del Governo, ma in buona parte prevedibile anche se non con tale vigore.

1) Un limite di spesa dei singoli progetti eccessivo, fissato a 100 milioni di euro, vale a dire il doppio del limite massimo che la normativa europea (Reg. 651) stabilisce per non rientrare nei «grandi progetti di investimento». La scelta, errata, è stata probabilmente quella di favorire soprattutto le grandi imprese, anche del nord, interessate a realizzare mega progetti la cui fattibilità, redditività e durabilità andrebbe preventivamente verificata con analisi approfondite e non con un incentivo automatico.

2) Un’ammissibilità eccessivamente generica, salvo poi le verifiche in sede di controllo, degli investimenti nell’acquisto di immobili o in opere murarie entro il limite del 50% dei costi di progetto. Ciò ha sicuramente spinto molti, magari mal consigliati, a giocarsi la carta della fortuna per operazioni di speculazione immobiliare.

3) La possibilità di concorrere alla “corsa al beneficio” accaparrandosi una parte del budget anche per progetti che non avevano e non hanno alcuna possibilità di essere realizzati entro la deadline del 15 novembre. La soluzione a questo limite avrebbe potuto essere quella di favorire i progetti in base alla percentuale di investimenti già realizzati e/o vincolare somme o fideiussioni per la quota di investimenti da realizzare in un breve arco di tempo di quattro mesi (luglio/novembre).

Siamo certi, lo ripetiamo, che gli investimenti effettivamente realizzati saranno molti di meno rispetto a quelli per cui sono state presentate le domande di agevolazione e che, di conseguenza, l’intensità di finanziamento sarà ben superiore al fatidico 17,6668%.

Resta la scelta di politica economica assolutamente negligente e inefficace e oltremodo punitiva per chi nelle regioni meridionali continua a lavorare e a produrre in mezzo a difficoltà e a costi di sistema (trasporti, distanze, inefficienze della macchina amministrativa, disinteresse del sistema bancario e con i flussi migratori innescati anche difficoltà nella ricerca di manodopera giovane e qualificabile) notevolmente più elevati rispetto al resto del Paese.

Una responsabilità politica di cui finora nessuno ha avuto il coraggio di assumere la paternità, ma in un Governo che ha al centro del suo programma un’indefinita “autonomia differenziata”, i cui limiti dovrebbero essere affrontati dal giudice costituzionale e dell’inevitabile referendum, e in cui la Lega gioca un ruolo determinante, il silenzio è per il momento l’unica strategia difensiva.

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