A ragione della nuova ondata di Covid-19, alcuni teatri e sale da concerto hanno chiuso o sospeso rappresentazioni (ad esempio, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma e La Fenice a Venezia). Sembra si stia tornando ai tempi bui del lockdown dell’inverno scorso. Anche gli spettatori, impauriti dal contagio, disertano le biglietterie e, se abbonati, rinunciano ad andare agli spettacoli.



In questo triste quadro, il concerto della IUC – Istituzione Universitaria dei Concerti – del 18 dicembre (ultimo di questo anno solare) è stato una piacevolissima sorpresa: sala abbastanza piena ma con distanziamento adeguato, un programma interessante e soprattutto un’occasione per conoscere due giovani star del firmamento musicale, il violoncellista Zlatomir Fung e il pianista Richard Fu. Ambedue meno di venticinque anni e di nazionalità americana. Di ascendenza cinese e bulgara il primo; nato a Shangai il secondo. Molto simili nei tratti, sul palco sembravano due gemelli. Ambedue hanno studiato, tra l’altro, alla Julliard School di New York. Ambedue arrivano a Roma carichi di premi internazionali vinti negli ultimi anni. Ambedue poco conosciuti in Italia – per Fung il concerto è stato il debutto a Roma, per Fu il debutto nei concerti della IUC.



Il programma comprendeva due brani noti e spesso eseguiti di Schubert e Šostakovič (rispettivamente, la Sonata in la minore “Arpeggione” e la Sonata in re minore op.40) e due novità o rarità per Roma (Fantasy on Little Russian Songs op. 43 di David Popper e Knock, Breathe, Shine per violoncello solo di Esa-Pekka Salonen). Un programma, quindi, che spazia dal romanticismo alla contemporaneità.

David Popper (1843-1913) è stato un violoncellista boemo, molto famoso negli anni tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento. È stato a lungo titolare della cattedra di violoncello di Pest. Ha composto relativamente poco: la Fantasia su piccole canzoni russe è un brano dolce ed affascinante che Fung e Fu hanno reso con passione, gli ascoltatori lo hanno apprezzato.



La Sonata in la minore “Arpeggione” risale al 1824, l’anno decisivo nell’esperienza creativa di Schubert come autore di musica strumentale; è l’anno, tra l’altro, dei Quartetti D 802 e La morte e la fanciulla D 810 nonché dell’Ottetto D 803. Tutto fa ritenere che la Sonata sia stata commissionata a Schubert da Vinzenz Schuster, promotore dell’arpeggione, lo strumento appena costruito dal liutaio viennese Johann Johann Georg Staufer e meglio conosciuto con i nomi di chitarra-violoncello, chitarra d’amore o chitarra ad arco. L’arpeggione era un ibrido tra il violoncello e la chitarra: suonato con l’arco e tra le ginocchia come il violoncello, contava sei corde come la chitarra, della quale riprendeva anche la forma della cassa e l’aspetto della tastiera. Negli anni trenta dell’Ottocento lo strumento era già dimenticato. Eseguita da Schuster nel novembre 1824, la Sonata rimase manoscritta; quando la si pubblicò per la prima volta nel 1871 ed ormai era scomparso l’arpeggione, l’editore Gotthard dovette provvedere a trascriverne la parte per violino e per violoncello. Quest’ultimo, tra i vari strumenti alternativi adottati nella prassi esecutiva (violino, viola, chitarra), è senz’altro per registro e qualità il più adatto a sostituire l’arpeggione.

La Sonata D 821 è un’opera di circostanza che non sfiora i vertici dei capolavori coevi. Nella esecuzione alla IUC, Fung e Fu hanno sprigionato un fascino sottile avvalendosi anzitutto della straordinaria invenzione lirica che contraddistingue la musica strumentale dell’ultimo Schubert. Se la cifra prevalente della sonata è una soffusa malinconia, Fung e Fu hanno valorizzato quelle che dovevano essere le risorse espressive dell’arpeggione, la cantabilità, e l’agilità virtuosistica.

Knock, Breathe, Shine (bussare, respirare, brillare) di Esa-Pekka Salonen è un brano virtuosistico per violoncello in tre movimenti: Knock – come il suo nome ci lascia intendere – si basa su due diversi tipi di pizzicato che si intrecciano. Breathe riguarda il respiro, il canto, le melodie. Shine mostra tutta la brillantezza di quello che si potrebbe fare con il violoncello, anche seduti sulle montagne russe.  Il titolo deriva dal 14° sonetto di John Donne (1572-1631). Il brano non è descrittivo. Zlatomir Fung lo ha interpretato in modo molto vivace come se fosse ispirato dai film dei fratelli Marx con momenti comici e passaggi lirici.

La Sonata per violoncello e pianoforte op. 40 fu scritta nel 1934 da Šostakovič e si colloca tra quei titoli della produzione di apparsi dopo l’opera Lady Macbeth del distretto di Mcensk, che fu violentemente attaccata dalle autorità della politica e della cultura sovietiche per il suo linguaggio musicale carico di atonalità e dissonanze. Nella Sonata si nota un ritorno alle forme tradizionali, ma sul piano strutturale si avverte una tensione e una complessità tematica che si distacca dal più tipico sonatismo di marca romantica, mediante un processo singolare di “montaggio” delle immagini sonore. Indubbiamente nella Sonata si respira un’aria di moderata ambiguità tonale in un tessuto musicale piuttosto eterogeneo, recante la figura dello stile e della personalità di Šostakovič. Questi aspetti sono stati messi molto bene in risalto da Fung e Fu.

Applausi calorosissimi che hanno portato a due bis: un Notturno di Alexander Borodin ed una Romanza di Jury Shaporin, trascritta dallo stesso autore per piano e cello.