Intervistatore degli invasori catturati“. Così potrebbe farsi definire Volodymyr Zolkin, blogger che su YouTube pubblica le interviste ai soldati russi catturati da quelli ucraini. Dopo aver ottenuto il permesso, ha dato via ad una specie di ricerca sociologica chiamata “Ishchi Svoikh“, che vuol dire “cerca il tuo”. Una sorta di invito ai parenti dei soldati russi a cercare il proprio tra quelli prigionieri. Finora ne ha sentiti oltre duecento. «Si somigliano quasi tutti. Sono ragazzi che guadagnano poco, non hanno una buona istruzione e hanno come unica alternativa quella di entrare nell’esercito», racconta a Controcorrente prima che venga mandato un servizio con alcuni stralci delle sue interviste.



«Non capiscono neppure cosa fanno, a loro dicono di andare a morire e loro sono pronti a farlo. Alcuni di loro non sapevano neppure dove stavano andando e perché». Incensato dalla conduttrice Veronica Gentili, perché con il suo lavoro consente di conoscere aspetti inediti della guerra in Ucraina, Volodymyr Zolkin è stato invece criticato da altri ospiti in studio.



OSPITI CONTROCORRENTE INSORGONO CONTRO YOUTUBER

«Posso non credere a una parola di quello che dicono dei prigionieri che vengono mostrati in pubblico. Quella è pura propaganda ucraina, legittima, ma non era altro che la macchina della propaganda ucraina che usa dei metodi che forse potrebbero essere giudicati anche da un tribunale», afferma infatti Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista. Il giornalista ha spiegato: «Prendere dei prigionieri, costringerli a dire delle cose, esporli al pubblico, umiliarli in quel modo, è una cosa che fanno anche i russi. Io spero che processerete russi e ucraini per questi che sono crimini di guerra».



D’accordo Cuno Tarfusser, giudice della Corte penale internazionale: «Assolutamente sì, credo che questa sia una fase delicatissima sotto il profilo investigativo. Il rischio di cadere nella propaganda è altissimo. Agli investigatori stranieri vengono fornite prove tendenzialmente dagli ucraini, quindi bisogna fare estremamente attenzione». Il generale Paolo Capitini ha rilanciato con più fermezza: «Non si può utilizzare un prigioniero di guerra per queste cose, per fargli dire qualsiasi cosa. Va tenuto in un luogo di detenzione, ha garanzie sancite dalle convenzioni di Ginevra. Non può diventare di nuovo un’arma, anche se fosse di propaganda». Lo stesso giornalista ucraino Maistrouk ha spiegato che quelle parole non vadano prese alla lettera. Emanuele Fiano, invece, ha spiegato che non si tratta di materiale usato per le indagini sui crimini di guerra.