Le domande cui ancora non si ha risposta sull’emergenza coronavirus sono molte e variegate, ma per una di queste – ovvero il caso della zona rossa non applicata ad Alzano e e Nembro (Bergamo) potrebbe avere una risposta in realtà molto semplice, quasi banale. Per settimane da più parti si sono sollevati cori di indignazione e accusa contro la Regione Lombardia, rea di aver avuto la possibilità ma non aver poi voluto chiudere i due paesini divenuti simbolo della strage di morti da coronavirus nella Bergamasca. Addirittura il Ministro Boccia in più occasioni ha spiegato come «fosse nei poteri del Governatore Fontana» attuare la chiusura estrema di Alzano e Nembro: in realtà esiste una circolare del Viminale, in data 8 marzo 2020, dove si esplicita con chiarezza che «alcuni interventi rimangono di esclusiva competenza statale» come ad esempio ordine e sicurezza pubblica, senza dunque sovrapposizioni tra Regioni e Governo centrale.
All’epoca – siamo all’inizio dell’emergenza coronavirus e con la quarantena che iniziava poi effettivamente per tutta Italia dal 9 marzo – le direttive del Ministero dell’Interno indicavano come l’istituzione di nuove zone rosse fosse sotto il controllo dello Stato, a differenza di quanto invece stabilito nell’ultimo Decreto 25 marzo dove si specifica che ulteriori chiusure possono essere convocate dalle Regioni, previa comunque via libera del Consiglio dei Ministri (qui i dettagli).
DIRETTIVA VIMINALE “ASSOLVE” LA LOMBARDIA SU ALZANO E NEMBRO
Leggendo però il provvedimento del Viminale non si può che trovare un’assoluzione “involontaria” della Regione Lombardia, ben prima che avvenisse la polemica contro Fontana e Gallera per la non chiusura di Alzano e Nembro: «Ferma restando la piena autonomia nelle materie di competenza regionale, come individuate dalle disposizioni vigenti – si legge nel terzo paragrafo di pagina 4 della circolare 8 marzo 2020 – va rilevata l’esigenza che in ogni caso, e soprattutto in questo delicato momento, non vi siano sovrapposizioni di direttive aventi incidenza in materia di ordine e sicurezza pubblica, che rimangono di esclusiva competenza statale e che vengono adottate esclusivamente dalle Autorità nazionale e provinciali di pubblica sicurezza», spiega la Ministra Lamorgese nel documento indirizzato ai prefetti per spiegare le direttive inserite nel Dpcm 8 marzo del Governo Conte.
Addirittura, come ricordato nei giorni scorsi dai vertici della Lombardia, il 3 marzo la Regione reiterò (aveva già cominciato a farlo da fine febbraio) la richiesta di istituire la zona rossa a Nembro e Alzano attraverso il Comitato tecnico scientifico di supporto a Palazzo Chigi. Il Cts condivise la valutazione e la inoltrò al premier Conte e al ministro della Salute Speranza, ma poi non se ne fece nulla fino a quando poi l’intera Italia fu resa zona rossa con il lockdown del 9 marzo. A domanda specifica fatta all’assessore Gallera ancora lo scorso 6 aprile ad Agorò, la risposta fu sostanziale «zona rossa potevamo farla, quando il 5 marzo sono arrivate le camionette dell’esercito noi eravamo convinti che sarebbe stata attivata dal governo, non avrebbe avuto senso per noi fare un’ordinanza» e poi ancora concluse «Era lo Stato che doveva farla come ha fatto a Codogno. […] Non rientra nelle nostre competenze disporre delle forze dell’ordine e delle forze armate. Noi ci siamo confrontati anche con i prefetti che ci hanno detto: non potete essere voi a dirci cosa dobbiamo fare. Se siamo in uno Stato ognuno ha le sue competenze. Questa non rientra nelle competenze istituzionali e costituzionali delle Regioni».