Il problema del controllo sui commenti e le notizie – soprattutto quelle potenzialmente negative verso chi comanda – esiste da sempre, ma certamente più sono veloci le informazioni più è una guerra contro il tempo a intervenire per frenarle, dirottarle o comunque incidere sulla loro diffusione nei confronti dell’opinione pubblica.



Con il moltiplicarsi dei social e della comunicazione virtuale è tra l’altro sempre più difficile capire dove sia la verità e se essa non venga in qualche modo manipolata, filtrata o addirittura capovolta. Il pullulare di fake news, di fotografie e filmati più o meno ritoccati (oltre che alla cancellazione dei commenti scomodi) diventa così un elemento decisivo per un più o meno accentuato controllo dei media da parte di chi detiene il potere.



Per questo è stato davvero un fatto assolutamente inedito che Mark Zuckerberg, il potente e ricco papà di Facebook, abbia ammesso l’altro ieri per iscritto – con una lettera ufficiale inviata al presidente della Commissione Giustizia della Camera dei rappresentanti USA – di aver volutamente censurato i social media di Meta (compresi Facebook e Instagram) negli anni scorsi su pressante richiesta dell’Amministrazione Biden-Harris. L’enorme numero di circa 20 milioni di post che sembrano essere stati cancellati avrebbero forse potuto capovolgere l’esito della campagna elettorale presidenziale del 2020. Quali i motivi di questa pubblica ammissione di scorrettezza informativa? C’è chi pensa che Zuckerberg abbia voluto mettere le mani avanti in previsione di un’indagine penale, oppure che voglia riposizionarsi in vista di un possibile cambio di colore alla Casa Bianca, mandando un segnale a Trump.



Di sicuro anche negli USA – che si vantavano di essere un Paese dove prima di tutto viene la libertà degli individui – anche la stampa e i social sono sempre più manipolati. Nessuno riesce così più a capire cosa effettivamente succeda in molte parti del mondo e le conseguenze di alcune scelte di vertice, come i fatti e le polemiche legati ai vaccini e agli enormi interessi economici che si stavano e ci stanno dietro.

In Italia di tutto questo si è purtroppo parlato pochissimo e la questione non è trattata in prima pagina, ma la lettera ufficiale di Zuckerberg conferma i contenuti dei cosiddetti “Twitter files”, resi pubblici nel 2022 da Elon Musk, che sottolineano la poca trasparenza della Casa Bianca per esempio sulle attività del figlio di Biden.

Zuckerberg riconosce ora di aver impedito la diffusione di notizie compromettenti su di lui, validando la (falsa) versione dell’FBI secondo cui si trattava di disinformazione russa; influenzando così il voto presidenziale. Quelle notizie – e i relativi commenti – avrebbero potuto spostare molti voti in favore di Trump, ma la grande stampa americana lo ammise solo molti mesi dopo, ad elezioni concluse.

La lettera di Zuckerberg, diventata pubblica in concomitanza con l’arresto a Parigi di Pavel Durov, ha riaperto però la questione della segretezza e trasparenza delle informazioni, almeno nei Paesi che si dichiarano democratici. In particolare sul diritto di censurare i siti “pericolosi”, ufficialmente per bloccare potenziali reati e fake news, ma di fatto autorizzando così anche la censura sulla diffusione di notizie giudicate scomode, vedasi appunto i siti chiusi di Google.

Non è certo solo un problema americano, perché lo stesso sta avvenendo nella UE.

Gentiloni per esempio ieri ha criticato pesantemente Telegram – di fatto avallando le posizioni francesi – sostenendo che quel sistema dà spazio ad attività criminali, ma questa posizione può essere legittimamente considerata anche come un’indebita intromissione nella giustizia francese, che – con il discusso arresto di Durov – sta scatenando le reazioni non solo della Russia, ma anche di Paesi del Golfo Persico, che ipotizzano ripercussioni nei rapporti con la Francia.

Proprio la Francia ora se la prende con il fondatore di Telegram accusandolo di una caterva di potenziali e gravi reati, ma sembra dimenticare come altri siti (anche francesi) possano ospitare impunemente sia materiale sessualmente inaccettabile che potenziali attività criminali coperte dall’anonimato.

La verità è che le polizie del mondo sembrano tutte correre molti passi indietro rispetto a chi utilizza questi canali in modo criminale e che alla fine fa comodo a molti tentare ogni tipo di pressione – arresto compreso – su chi possa avere le preziose  “chiavi” di accesso alle notizie private di centinaia di milioni di persone, in una sorte di “grande fratello” che – ufficialmente “a fin di bene” – vorrebbe spiare o intercettare tutti noi.

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