Il peggior incubo che può capitarvi nel vivere civile è quello di essere vittima di un errore giudiziario. È una irrimediabile pena che affligge per tanti motivi. L’innocenza, a dire il vero, la si perde non quando si prova la propria estraneità a ciò che viene contestato, ma ben prima, nel momento stesso in cui si è coinvolti in un qualche affare di giustizia. Da quel momento in poi anche il più virtuoso degli uomini viene attinto da sguardi torvi, dai sorrisetti soffocati e da frasi di circostanza che testimoniano come l’uomo sia infedele ai propri ideali e si faccia guidare dal malpensiero di un’accusa anche infondata. Tanto poco pare sia sufficiente a macchiare un individuo ben prima che tutto si trasformi in una condanna accertata in tribunale. Questa vessazione non ha fine, spesso, neppure se la vicenda si conclude in modo positivo.
Quanti ricordano gli assolti o gli archiviati dopo che sono stati esposti alla gogna pubblica? Figurarsi se poi un innocente vero, e che tale si sente, viene condannato alla più dura delle pene, l’ergastolo, per un fatto che non ha mai commesso. L’avvilimento, la sfiducia che un’ingiustizia del genere provoca deve essere insensata, chi la racconta si rifugia spesso nell’intimo del proprio essere per spiegare come ha resistito a un tale devastante deflagrazione della propria vita. Chi con la fede, chi con l’amore. Nessuno che accetti la pena ingiusta si appella al fatto di comprendere chi ha sbagliato. Ed in fondo è giusto. Non può essere che così, troppo delle nostre vite può essere cancellato da un errore e agli errori si deve dare rimedio.
O si dovrebbe. Perché capita che nel nostro Paese, che ha dimenticato di essere stato un luogo di cultura del diritto, un ergastolano scoperto innocente, Beniamino Zuncheddu, dopo 33 anni di galera ingiusta, pare non meriterà un risarcimento adeguato perché, seppure innocente, non ha provato lui la sua totale estraneità ai fatti, ovvero è stato assolto per quella ipotesi che una volta si chiamava “insufficienza di prove”. Il perché risiede nelle norme che ancora distinguono i motivi di un’assoluzione tra quelli assoluti e quelli meno assoluti e che mirano a rendere palese ad una prima lettura chi è “innocente” da chi viene assolto perché l’ha fatta franca. In questa distinzione si cela un ulteriore passaggio che prevedono le norme che dovrebbero tutelare gli incarcerati innocenti. A costoro spetta un risarcimento solo nel caso in cui i fatti siano stati del tutto travisati, in modo tale da aver subito una ingiustizia abnorme. Gli altri “non colpevoli” restano meno innocenti e pertanto, seppur assolti in tribunale, meno meritevoli di tutela.
In pratica, se ti fai oltre trent’anni di carcere da innocente come Beniamino Zuncheddu non conta tanto, conta se appari o meno “del tutto” innocente. Questa gradazione dell’innocenza appare ad oggi un elemento di grandissima ingiustizia. Non perché non serve solo a sapere i motivi e i dettagli di una assoluzione, quanto perché un uomo detenuto ingiustamente e che ha subito la peggiore delle sorti va risarcito senza alcuna ombra e con delle scuse. Ha visto passare la sua vita dietro le sbarre senza averne colpa alcuna. E a lui si devono le scuse in primo luogo di tutti, perché un innocente è condannato in nome del popolo tutto e quindi da tutti noi, e si deve dare anche la possibilità di ripartire avendo un pieno sostegno economico e morale per una tale insopportabile ingiustizia. Un Paese che regala soldi con lotterie e bonus e che non si fa carico di un proprio errore è un Paese che sta scivolando verso la barbarie giuridica e sociale. Perché non si fa carico di un concittadino, vittima ingiustamente detenuta per colpa di un sistema che non ha saputo fare il proprio mestiere. E se un Paese smette di farsi carico dei propri errori, se abbandona gli innocenti al loro destino anche quando li vessa e distrugge loro le vite, allora sta perdendo la sua natura civile, il valore che ha la sua carta fondante, la Costituzione.
Perciò l’incubo di Beniamino Zuncheddu deve essere il nostro. Perciò lo Stato deve fare i conti con i propri errori e con gli uomini che li hanno fatti. Senza punire insensatamente, ma prendendosi la responsabilità di dire che un errore così grave non può essere messo da parte dal Popolo, dallo Stato, dalle Istituzioni senza avere come unico obbiettivo che non accada mai più. E chi come Beniamino Zuncheddu ha vissuto l’incubo indicibile di passare oltre 33 anni in carcere da innocente va ricordato, supportato, risarcito e messo in condizione di vivere il resto dei suoi giorni con la netta percezione di essere finalmente lui l’unico innocente a cui tutto è dovuto, a partire dalle scuse e dal sostentamento economico. Perciò la nostra macchina della giustizia ha bisogno di essere messa in condizioni di non ripetere questi errori e di attribuire con chiarezza la responsabilità a chi ha sbagliato, perché mandare un Beniamino Zuncheddu innocente in galera è il crimine collettivo peggiore che comunità possa compiere e da cui si deve difendere. Anche se è innocente per un soffio, o per caso. L’innocenza resta tale, le responsabilità pure.
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