Una missione di ascolto, per evitare l’escalation della guerra e chiedere di cessare il fuoco. Che punta non tanto ad aprire nell’immediato una trattativa di pace, quanto a trovare valori comuni tra i Paesi in guerra per ricostruire un clima di pace. Il cardinale Matteo Zuppi, inviato dal Vaticano, è stato a Kiev per questo. Ha incontrato il presidente Zelensky ma anche rappresentanti di istituzioni ecclesiastiche, cercando di porre sul tavolo anche i problemi umanitari legati al conflitto.
“Visto che la guerra è stata definita dal patriarca di Mosca Kirill una “guerra metafisica” – dice Stefano Caprio, sacerdote cattolico in rito bizantino residente in Russia dal 1989 al 2002, docente di patrologia e autore di numerosi studi dedicati al rapporto tra potere e ortodossia – si potrebbe dire che quella di Zuppi è una “missione metafisica”. Nel senso che riguarda più gli ideali che le strategie”. Potrebbe essere comunque un punto di partenza per un dialogo che arrivi almeno a far tacere le armi.
Qual è il vero senso della missione di Zuppi a Kiev? Su cosa sta puntando e cosa può ottenere?
Ha spiegato che è andato più ad ascoltare che a parlare, senza piani particolari da proporre, anche perché i piani sono stati proposti da molti: dalla Cina, dagli africani, dall’Indonesia. È andato a Kiev nel momento in cui gli ucraini stanno lanciando la controffensiva. Non credo per dire di non sparare, ma perché almeno si evitino gli eccessi. Oltre a riproporre le questioni umanitarie che sono sul piatto da tempo, anche da prima dell’invasione russa: la collaborazione umanitaria per l’Ucraina e il Donbass è già in atto dal 2014.
L’episodio dell’attacco alla diga vicina a Kherson sembra invece dimostrare che la guerra può portare a distruzioni ancora peggiori. Un brutto segnale?
L’escalation della guerra potrebbe essere l’anticamera della tregua. L’Ucraina dice che vuole recuperare tutti i territori: se ce la farà, tanto di cappello dal punto di vista militare, ma è più probabile che ottenga qualche vantaggio riconquistando parte del territorio, qualche punto strategico. Così sarebbe più facile per Kiev concedere una tregua. Anche perché la Russia, in questo momento, sarebbe totalmente a favore della tregua: le permetterebbe di mantenere i territori conquistati. La posizione del Vaticano da questo punto di vista è più in difesa della Russia che dell’Ucraina.
In che senso?
Se si continua a chiedere il cessate il fuoco, in questo momento si fa il gioco della Russia. Certo, il Vaticano ragiona più sulle motivazioni ideali e morali che sulle strategie.
E su quali argomenti Zuppi ha voluto ascoltare gli ucraini? Sulle condizioni per arrivare alla pace?
Non esattamente. Non è la cosa più logica da chiedere. Smettere di sparare, di fare vittime, invece, sì. Il cessate il fuoco è lo scopo principale. Si cercano le ragioni per evitare di vedere il conflitto come una guerra di civiltà, per ricordare che l’Ucraina non è contraria ai valori cristiani, che c’è bisogno di un dialogo più profondo. Si vuole puntare sui valori comuni tra Russia e Ucraina, Europa e Russia, Oriente e Occidente.
Il Vaticano vuole mettere i due Paesi di fronte alla comune identità cristiana?
Penso di sì. Perché il patriarcato di Mosca ha giocato molto questa carta della guerra di civiltà, mentre chi più del Papa può mostrare che nonostante tutto l’Occidente conserva ancora questi valori? Se l’Ucraina vuole entrare in Europa e nell’Occidente non vuol dire che voglia tradire le sue radici cristiane.
Siamo in una fase iniziale, che non contempla, quindi, l’avvio di una vera trattativa di pace?
Credo che non interessi molto al Vaticano ora, perché non è suo compito. Dovesse iniziare una trattativa, si offrirebbe come mediatore. Ma il Vaticano è anche molto realista: sa bene che lì si creerà un confronto come quello tra le due Coree, come tra israeliani e palestinesi. Però si può lavorare per un clima diverso.
È questo, insomma, il vero obiettivo? Creare un clima diverso?
La parola clima è stata molto usata: si è parlato, appunto, di creare un clima di pace. Vuol dire: “Sappiamo che c’è un’ostilità che rimarrà anche dopo la fine delle operazioni militari e quindi vogliamo cambiare il clima, se non possiamo cambiare queste operazioni”.
Dopo la missione a Kiev Zuppi andrà anche a Mosca?
Il piano è quello: lo ha detto il Papa. Il viaggio a Mosca è già pronto, la Santa sede ha mantenuto i rapporti con la Russia, basta trovare il momento. Bisogna, tuttavia, che prima ci sia qualche segnale positivo che arriva dagli incontri con l’Ucraina. Non è che Zuppi il giorno dopo la missione a Kiev andrà a Mosca. Prima tornerà a casa e si faranno delle valutazioni.
Potrebbe incontrare Putin?
Potrebbe. Non è da escludere. Magari, se non proprio Putin, il patriarca Kirill. Bisognerà vedere l’esito della missione in Ucraina.
Ma c’è la disponibilità di Zelensky e degli ucraini a dialogare? Quando è venuto dal Papa a Roma il presidente ucraino è sembrato chiuso a possibili iniziative diplomatiche.
Zelensky deve mantenere le posizioni. Lo deve fare per difendere il proprio Paese ma anche per difendere, in prospettiva, la sua posizione. In Ucraina, come in Russia, ci sono forze più radicali. In Russia c’è Prigozhin, ci sono le compagnie militari private. In Ucraina c’è il generale Zaluzhny che vuole vincere con la controffensiva: l’anno prossimo potrebbe essere eletto lui presidente al posto di Zelensky. Per quanto riguarda la visita di quest’ultimo al Papa, più che quello che si sono detti conta il fatto che il presidente ucraino si è mostrato ben disposto nei confronti di Francesco.
I rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e quella ucraina e i rapporti della Chiesa cattolica con entrambe possono aiutare a trovare una soluzione?
Sono rapporti che incidono. Oggi come oggi la Chiesa cattolica è equidistante rispetto alle Chiese ortodosse tra di loro. Vale a livello più alto per i rapporti tra Mosca e Costantinopoli, vale per quelli tra gli ortodossi russi e ucraini e anche all’interno dell’Ucraina tra ortodossi filorussi e filoucraini. I cattolici non hanno colpe e pretese, ma possono recitare una parte nel percorso di riconciliazione che in Ucraina dovrebbe portare a una Chiesa unica ortodossa nazionale. Se riuscisse a diventare una Chiesa in comunione sia con Constantinopoli che con Roma, addirittura si potrebbero riprendere anche i greco-cattolici, che sarebbero ben contenti di riunirsi.
Paradossalmente la Chiesa cattolica può riavvicinare le Chiese ortodosse tra loro?
Il vero conflitto tra gli ortodossi russi e greci nel 2016 è avvenuto perché i russi si sono rifiutati di andare al concilio di Creta che il patriarca Bartolomeo aveva pensato di organizzare per la prima volta nella storia in un millennio di ortodossia. Non ci sono andati perché non volevano parlare con l’Ucraina. Da allora Roma, che ha il Papato, quindi ha un centro (mentre gli ortodossi fallendo il Concilio hanno dimostrato di non averlo) riesce, per questo motivo, a offrire un servizio.
La Chiesa ortodossa russa e quella ucraina possono aiutare a trovare una strada comune che porti alla pace o sono ai ferri corti?
Sono da sempre ai ferri corti. Ma bisogna valutare situazione per situazione. Tra i due metropoliti ucraini, quello filorusso Onufry è molto più autorevole di quello autocefalo Epiphany: finché lo Stato non ha imposto la Chiesa autocefala quest’ultimo era un mezzo diacono, ma si è trovato a fare il metropolita. Onufry da giovane vescovo, nel 1991, era tra quelli che avevano chiesto l’autocefalia. Quando non fu stata accettata non volle tradire Mosca.
Se tra le due Chiese c’è ancora un legame può essere un punto di partenza se non per trovare la pace almeno per rasserenare per quanto possibile gli animi?
Certo. Onufry da un anno non comunica più con Mosca, ma Mosca dice: “Lo capiamo, ha dovuto fare così, è ancora uno dei nostri”.
C’è poi da risolvere la situazione dei bambini ucraini portati in Russia e che si vorrebbe far tornare in patria. Zuppi si muove anche su questo tema?
Si sta già facendo qualcosa da questo punto di vista. In Russia i bambini ucraini deportati vengono affidati alla Chiesa e c‘è una commissione interreligiosa, per cercare di coordinare gli aiuti, nella quale sono presenti anche i cattolici russi. I bambini che hanno genitori o parenti potranno essere restituiti: è già successo per circa 400 di loro. Moltissimi però sono orfani: prima della restituzione va chiarito come assisterli, per evitare di cancellare l’identità ucraina imponendo un’identità russa rigida. Il fatto che ci sia collaborazione su questo in Russia potrebbe essere una garanzia che la Russia stessa non usi i bambini per i suoi scopi.
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