Sono le ore più delicate per la missione del cardinale Zuppi a Mosca. L’agenda è top secret, nessun appuntamento è confermato, tranne quello con Yuri Ushakov, consigliere di Putin per la politica estera. Ieri Putin ha lasciato Mosca per recarsi in Daghestan, quindi un incontro di Zuppi con il presidente russo parrebbe escluso, ma per Stefano Caprio, sacerdote cattolico in rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, tutto è ancora possibile.



Il Cremlino ha dichiarato “alto apprezzamento” per l’iniziativa di papa Francesco, che non ha chiesto a Zuppi di trovare una mediazione politica, ma di “incoraggiare gesti di umanità” capaci di ammorbidire le posizioni e mostrare la convenienza, per tutti, della pace.

Ieri un missile russo ha centrato un ristorante a Kramatorsk (Ucraina), facendo 11 vittime civili e 62 feriti, secondo Kiev.



Padre Caprio, il viaggio di Zuppi avviene dopo l’insurrezione di Prigozhin, dunque in un momento molto particolare per Mosca. Questo aiuterà il dialogo oppure no?

Ci sono due fattori da considerare. Il primo obiettivo della Santa Sede è facilitare una reciproca apertura, improntata a una idea spirituale di pacificazione. Dunque meglio fermarsi al valore spirituale, religioso della pace, piuttosto che correre verso questioni che definiremmo “tecniche”, più specifiche.

E l’altro aspetto?

È appunto ciò che è successo in Russia. Lo sconvolgimento interno al quale abbiamo assistito fa sembrare la visita del cardinale quasi come un gesto di rassicurazione nei confronti di Putin: veniamo a testimoniare la nostra solidarietà.



Favorire la pace, anziché lavorare attivamente per un cessate il fuoco, non è un approccio rinunciatario di fronte alla gravità della guerra?

No, è una forma di umiltà. La Santa Sede sa di non essere un attore decisivo nelle trattative tecnico-diplomatiche. Sa però che questa guerra è stata costruita da parte di Mosca su uno schema di forte contrapposizione culturale con l’Occidente, ivi compreso il proposito di salvare il mondo russo dalla depravazione occidentale. Proprio per questo la Santa Sede è la voce più qualificata nel dimostrare che c’è invece un Occidente per il quale i valori tradizionali hanno un significato importante.

Come definirebbe questo approccio?

Realistico, innanzitutto. D’altra parte tutta la storia della diplomazia vaticana è sempre stata improntata al realismo. Ai temp dell’Urss la Chiesa mandò Agostino Casaroli, non ancora cardinale, a trattare sul disarmo nucleare.

E non è un esempio di negoziato molto specifico?

Sì, è per dire che se ci fossero trattative politico-militari nelle quali la Santa Sede potrebbe fare la sua parte, non si tirerà indietro.

Proprio nelle ore in cui Zuppi è arrivato a Mosca, da Kiev hanno fatto sapere che non hanno bisogno di mediazioni, e ribadito che interessano loro solo due obiettivi, lo scambio di prigionieri e il ritorno dei bambini rapiti dai russi.

L’Ucraina non può rinunciare a questa posizione di principio, e comunque le due questioni dei prigionieri e dei bambini sono molto importanti. Su di esse la Chiesa è già al lavoro. Però tutti sanno che al di là delle dichiarazioni di principio non si può andare avanti all’infinito.

Si spieghi meglio.

Difficilmente la Russia potrà conquistare nuovi territori, lo steso vale per l’Ucraina rispetto alla Crimea, al Donetsk e al Luhansk. Ma senza progressi, Kiev rischierà di perdere i finanziamenti occidentali.

Chi incontrerà il card. Zuppi?

Sicuramente il metropolita Antonij di Volokolamsk, che ha la delega agli affare esteri del patriarcato. Poi il patriarca Kirill e qualcuno dell’entourage di Putin. Non escludo che riesca a vedere anche il presidente russo. Putin ne trarrebbe un vantaggio: vedete? Anche il Vaticano riconosce il mio ruolo. E il ruolo di Putin oggi non è quello del grande vincitore della guerra, ma del difensore della patria.

Però questi incontri non sono ancora confermati. Di confermato c’è solo quello con Yuri Ushakov, consigliere di Putin per la politica estera. 

I vertici del patriarcato conoscono molto bene gli uomini del Vaticano, si frequentano da molti anni. Incontrarsi non è un problema.

Le ha conosciuto Kirill?

Sì, lo vidi la prima volta quando ero studente a Roma, nel 1983. Venne ad abitare nel mio collegio, il Russicum, e io gli facevo da autista.

Nel maggio 2022 papa Francesco disse che “il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin”. È un giudizio molto duro, anche se rispecchia la realtà di uno modello costantiniano ben noto e collaudato.

Sì, ma Kirill è anche il capo della Chiesa ortodossa che Francesco ha incontrato all’Avana (il 12 febbraio 2016, nda) dopo mille anni che il papa e il patriarca di Mosca non si incontravano ufficialmente. Ci sono entrambe le cose, da un lato l’appoggio di Kirill alla guerra di Putin, che lo squalifica molto, dall’altro rapporti storici che non si possono dimenticare.

Domani Zuppi celebrerà messa a Mosca. È un fatto secondario?

No, è una notizia importante perché i cattolici sono in una posizione veramente delicata, nel senso che sono contro la guerra del loro Paese, ma non possono dirlo esplicitamente, quindi la messa di Zuppi sarà per loro di grande aiuto e conforto.

Perché la missione abbia successo dobbiamo aspettarci risultati concreti? O sarà semplicemente un seme gettato?

Risultati immediati no, se non qualche accordo umanitario, che come ho detto non andrebbe sottovalutato. Ritengo comunque che Zuppi sia andato in Russia nel momento giusto.

Perché?

Perché il Vaticano mi pare inserirsi tra Kiev e Mosca in un momento in cui il conflitto armato è pressoché in stallo. Di conseguenza la Santa Sede potrebbe essere un ottimo aggancio per favorire trattative di pace. Tutto può sempre succedere, ma rinviare a dopo l’estate poteva rendere tutto inutile.

(Federico Ferraù)

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