Dopo Mosca, Kiev e Washington ecco Pechino. Il viaggio del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, in Cina conclude (per ora) le visite nate dall’iniziativa di papa Francesco per cercare uno spiraglio di pacificazione tra Russia e Ucraina. Ai cinesi, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, Zuppi chiederà di mediare in vista di una possibile trattativa tra le parti in causa nel conflitto, puntando sul prestigio che deriverebbe a Pechino nel caso in cui questo tentativo andasse in porto. La Cina, in questo modo, apparirebbe al mondo con quel ruolo da grande potenza sulla base del quale coltiva le sue ambizioni di costruire un ordine mondiale alternativo all’Occidente.
Il problema della visita, però, sono i rapporti, deteriorati, tra Santa Sede e Ucraina dopo certe dichiarazioni di papa Francesco. È quello il nodo da sciogliere per consentire al Vaticano di proseguire con proficuo la sua azione pacificatrice.
La visita di Zuppi in Cina è l’ultima di una serie finalizzata ad aprire spiragli di pace. Come si colloca nel contesto delle iniziative precedenti della diplomazia vaticana?
È interessante questa azione diplomatica condotta tramite la Conferenza episcopale e non la Segreteria di Stato. Ha a che fare con la personalità di Zuppi e la sua appartenenza alla comunità di Sant’Egidio e una lunga specializzazione nella citizen diplomacy, che in passato ha dato risultati, anche se nel caso cinese l’influenza di Sant’Egidio sul discusso accordo con la Santa Sede del 2018 è stata criticata.
L’obiettivo di Zuppi sarebbe di convincere la Cina a fare da mediatore nella guerra in Ucraina. Un’idea che può diventare realtà?
Non è un’idea balzana, è perseguita anche dagli Usa e dalla Ue. La Cina era fino al 2022 un fondamentale partner economico dell’Ucraina e lo è naturalmente della Russia. I rapporti con Mosca sono noti; meno noti, ma ugualmente importanti e parte di un disegno strategico commerciale cinese, sono quelli con l’Ucraina. La voce della Cina è ascoltata in Russia ma può esserlo anche in Ucraina.
Quali sono gli ostacoli alla sua realizzazione?
Il problema è che il governo ucraino non considera la Santa sede un interlocutore credibile perché irritato da una serie di dichiarazioni, in gran parte non ufficiali ma rilasciate in aereo o estemporanee, di papa Francesco, che in qualche modo danno all’Occidente e alla Nato la responsabilità di quella che gli ucraini vedono come una guerra di aggressione. Tutta la difficoltà della trattativa sta nel fatto che un intervento vaticano esplicito può fare più male che bene. In questo momento il governo ucraino, ma anche gran parte dell’opinione pubblica, nonostante i tentativi di rimediare, vedono il Vaticano come fumo negli occhi.
In questo momento sarebbe più utile un’altra visita a Kiev?
Potrebbe, però se il Papa continua a sostenere l’idea della Nato che “abbaia ai confini della Russia”, la cosa difficilmente si risolverà. Mi sembra che ormai i rapporti tra l’Ucraina e la Santa Sede siano compromessi quasi in modo irrimediabile. Forse potrebbero essere ricuciti da un prossimo pontefice di diversa sensibilità rispetto all’Occidente in genere. Per questo la visita di Zuppi rischia di spostare pochi birilli. Detto questo non c’è solo Zuppi: Biden, la Ue, tutti chiedono alla Cina di mediare.
Ma Pechino vuole mediare?
Pechino vuole la fine della guerra perché danneggia i suoi interessi economici. Insieme al Covid è responsabile della sua crisi economica. Ma vuole anche che non vinca nessuno: non la Russia, perché così rimarrebbe in una posizione di sudditanza nei confronti della Cina, e non l’Occidente, perché sarebbe un precedente per Taiwan, che contrasterebbe la narrativa cinese di un Occidente in declino, la cui egemonia mondiale sarebbe destinata, nel medio o lungo periodo, a essere soppiantata dalla Cina stessa. Pechino vuole che la guerra finisca presto e senza vincitori. Non è quello che vuole la Russia, che vorrebbe dichiarare alla sua opinione pubblica di averla vinta; e neanche quello che vogliono Usa e Ue, che vorrebbero che fosse l’Ucraina a dichiarare di aver vinto il conflitto.
Zuppi ha anche detto prima di partire che la possibilità di fare la pace è in mano agli ucraini: cioè bisogna vedere cosa vogliono loro. In questo momento Kiev cosa vuole?
Mi sembra che la gran parte dell’opinione pubblica ucraina sia ostile a ogni armistizio che non comprenda la restituzione dei territori, Crimea compresa. Dal momento che l’Ucraina è una democrazia, qualunque presidente dovrà tenerne conto. Peraltro è un’opinione pubblica che oscilla in base ai risultati militari. Se non fossero quelli attesi potrebbe anche cambiare idea.
La Cina comunque aveva già preso un’iniziativa per la pace, elaborando anche un suo piano. Perché non è stato accettato?
Le speranze di un intervento cinese sono andate in gran parte deluse perché Pechino si è limitata a dire cose ambigue: “Vogliamo la pace ma anche l’integrità territoriale di tutti i Paesi”. Ma la Russia non vuole l’integrità territoriale dell’Ucraina, visto che vuole annettere delle parti. È uno snodo che la Cina fa fatica a sciogliere, divisa com’è tra il desiderio di una guerra senza vincitori né vinti e la sua partnership strategica con la Russia.
I rapporti tra Vaticano e Cina sono abbastanza buoni perché le parole di Zuppi vengano prese in considerazione?
La Cina prende seriamente il Vaticano sullo scacchiere internazionale, ma il rapporto tra loro va anche visto in relazione a quello che succede alla Chiesa cattolica in Cina: abbiamo visto la violazione degli accordi denunciata anche pubblicamente dalla Santa Sede, anche se poi la situazione è stata rappattumata. La partnership Cina-Vaticano dipende anche dalla situazione interna del Paese e dalla volontà di rispettare gli accordi.
Senza il rispetto dell’intesa la credibilità cinese sarebbe compromessa?
È un problema della Cina di Xi Jinping: un esempio è quello della Santa Sede e l’altro è quello di Hong Kong. È il problema che, per esempio, determina nell’opinione pubblica di Taiwan una forte ostilità ad ogni soluzione negoziata con la Cina. Non era così prima di Xi e di Hong Kong. L’opinione pubblica di Taiwan non crede a chi promette “un Paese-due sistemi”, lo avevano promesso anche a Hong Kong e non è stato così.
Quali argomenti userà Zuppi per convincere i cinesi a mediare in Ucraina?
Potrebbe dire che se la Cina vuole emergere come grande potenza, potersi ascrivere una pace in Ucraina sarebbe un passaggio decisivo. Le grandi potenze sono tali non solo per la forza militare ed economica, ma anche per quella morale. Pechino ha i suoi problemi di diritti umani, ma come immagine internazionale farebbe un passo in avanti importante se contribuisse alla pace in Ucraina.
L’iniziativa di Zuppi è a sé stante, oppure è sostenuta o almeno ben vista ad esempio dall’Occidente?
Da una parte è un’iniziativa comune: con sfumature diverse, il discorso che farà Zuppi a Pechino è lo stesso di Europa e Stati Uniti. C’è una consonanza e qualunque aiuto, piccolo o grande, è ben accolto. Dall’altra credo che soprattutto negli Usa ci sia un certo scetticismo nei confronti della Santa sede di papa Francesco. C’era una consonanza maggiore di tutte le forze politiche americane con quella di Benedetto XVI.
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