È un cardinale consapevole dei problemi e dal tono sapienziale quello che prende la parola al consiglio episcopale permanente della Cei per tracciare le linee che condurranno i vescovi italiani alla loro assemblea generale di maggio. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana da pochi mesi, si appresta così a porre altri preziosi tasselli sulla strada di quella conversione pastorale della Chiesa in Italia che è l’obiettivo affidatogli dal Papa all’inizio del suo servizio. Ma che cosa significa conversione pastorale? E, soprattutto, è questa la strada adeguata al momento storico che il cristianesimo sta vivendo nel nostro paese?



Per l’arcivescovo di Bologna la conversione pastorale coincide con una visione larga della realtà e della società: al centro dell’azione della Chiesa non ci devono essere le certezze o i problemi dei pastori, ma la vita delle pecore, del popolo di Dio. Questo non per una scelta politica o alla moda, ma per un giudizio di fondo: è nel popolo, è fra il popolo, che Dio già opera.



L’atteggiamento pastorale coincide con quella radicale curiosità verso Cristo che ci precede e che – proprio come agli inizi della Chiesa – ha già iniziato il cambiamento del cuore di molti. Le parole che la Chiesa dice, allora, non servono per sanzionare o circoscrivere un’identità da difendere, bensì per suscitare nelle persone la consapevolezza di quello che già c’è e già si muove in mezzo a loro.

È questa la Chiesa larga che ha in testa Zuppi, un’esperienza che non è sovrapponibile a quello che della Chiesa si vede, nelle sue strutture e nelle sue storture, ma che eccede e che – quindi – chiama tutti a interrogarsi e ad agire non con la fretta di chi organizza soluzioni, ma con la pazienza di chi cerca strade, percorsi, processi destinati a superare il lungo inverno che ci aspetta.



E su questo il presidente della Cei è chiaro: sarà un lungo inverno. Un inverno della fede, sempre meno partecipata nei suoi riti e nelle sue tradizioni, un inverno demografico, sempre più schiacciato dalla paura che gli uomini hanno nei confronti del futuro e della stessa vita. Un inverno travolto dal peccato di una pedofilia immonda, sintomo di quel combinato disposto che nasce dalla perversione del potere e dalla rimozione della sessualità che la Chiesa trionfante dell’ultimo secolo ha acquisito, come riferimento e come modello, in tante parti del mondo e in non pochi gangli della società.

In questa tensione tra una Chiesa che eccede, e che è oltre i nostri schemi, e una comunità che s’appresta ad un lungo inverno si colloca tutta l’apertura che il Cardinale indica per il futuro: esso, infatti, non deve incutere paura ma spingere sempre di più all’accoglienza. I cristiani sono chiamati ad essere minoranza creativa – la definizione è di Benedetto XVI – in un tempo di minoranze, in cui le maggioranze non esistono più.

È la creatività da perseguire in ogni contesto che oggi contraddistingue la presenza cristiana, una creatività che accoglie anche quando non ci sarebbe più nulla da accogliere o da tenere: una presenza originale che interroga la vita di tutti, come quella di tanti testimoni che ciascuno di noi può osservare accanto a sé. I tanti problemi del nostro Paese o del nostro tempo, la “lotta per la pace” ingaggiata da papa Francesco, come pure i tentativi del nuovo governo italiano su tanti fronti importanti come l’educazione o la cura degli anziani, sono da vivere con questa creatività che deve contraddistinguere l’esperienza dalla fede in Italia. Fiducia nel mistero di Dio, curiosità per la storia, consapevolezza del proprio peccato, creatività: sono dunque queste le parole che disegnano una realtà ecclesiale molto diversa dai modelli degli scorsi decenni e che promettono di raccogliere le sfide del nostro presente.

L’impressione, però, è che il Cardinale guardi molto oltre: egli indica una strada che possa essere metodo di lavoro e di formazione per decenni. La sua stessa proposta non parla tanto al contesto che c’è, quanto al mondo che avanza, al nulla che incombe. È come se le sue parole, in fondo, fossero il tentativo di costruire una casa per chi verrà, per chi dovrà tenere il proprio cuore fedele in un tempo che si preannuncia incerto e difficile. Ma anche pieno di doni e di spiazzanti sorprese. Un tempo di una Chiesa diversa, che si spoglia di ciò che non serve per farsi guidare con forza dall’unica cosa che conta. La Presenza di Uno che abita già il nostro domani.

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