Fare la pace quando nessuna delle parti coinvolte la vuole è sì un’impresa, ma non impossibile per il cardinale Matteo Zuppi. «Bisogna convincere, bisogna trovare i motivi per cui è più conveniente la pace della guerra», dichiara il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) nell’intervista concessa alla trasmissione “Soul” condotta da Monica Mondo su Tv2000, di cui Avvenire ha anticipato ampi stralci. La sua esperienza gli ha insegnato «che in realtà la pace la vogliono tutti, spesso alle proprie condizioni, e poi c’è il dialogo per capire qual è la condizione che può far giungere alla pace». Quindi, quel che bisogna fare per il cardinale Zuppi è «mettere insieme le varie possibilità per cui è più conveniente fare la pace che la guerra». La fiducia c’è, così come la speranza, che non si riscontra «solo quando è tutto bello e chiaro, ma quando devi affrontare il buio per trovare la soluzione».



La speranza, spiega Zuppi, non c’è solo quando tutto è illuminato. «La speranza è quando non vedi un tubo, e devi provare a cercare qualche cosa quando ci sembra che non ci sia niente, questa è la speranza». Per Zuppi bisogna sempre credere che la pace è possibile, ma bisogna anche attrezzarsi di più, affinché non ci siano più guerre, quindi «anticipare il problema, perché altrimenti diventa tutto più complicato quando le ragioni della guerra creano una situazione davvero infernale. La guerra, da cui è difficilissimo tornare indietro si deve fermare prima: dopo è tutto troppo complicato».



ZUPPI (CEI) “CON IL PAPA RAPPORTO DIALETTICO”

Nell’intervista il cardinale Matteo Zuppi parla anche della Conferenza episcopale italiana (Cei), di cui è presidente. A tal proposito, ricorda la «chiarissima» indicazione di Papa Francesco, secondo cui deve essere «snella, fare tanto con poco, aiutare a fare tanto, quindi non fare le cose perché abbiamo i mezzi ma usare i mezzi per fare le cose». Inoltre, conferma che c’è un buon rapporto della Chiesa italiana con Bergoglio. Lo definisce «dialettico». Ma che il rapporto sia buono per Zuppi è scontato: «Se uno è cattolico e non ha buoni rapporti col Papa il problema è che forse ti sei dimenticato di essere cattolico, penso io. Con qualunque Papa ovviamente, poi come sempre nella vita uno può sentire per storia, per sensibilità, più vicine delle parole rispetto ad altre, ma quello è sempre il Papa».



A “Soul” su Tv2000 racconta anche le sue origini, parla della sua famiglia, così come degli anni da parroco a Santa Maria in Trastevere e quelli da vescovo, ma anche il calo di cristiani, forse legato al fatto che ci sono meno pastori capaci di affascinarli. «Le due cose sono unite. Non hanno senso i pastori senza la casa, e non c’è casa senza pastori, in un legame appunto che non è funzionalista, ma molto affettivo, quella che si chiamerebbe la comunione». Per Zuppi è un aspetto che viene valorizzato poco, eppure «è la chiave di tutto, perché che senso ha un pastore se non ha casa, se non ha un gregge. Fa il pastore con il bastone? Si pensano insieme, questo è il nodo, e qualcosa che unisce profondamente, è un legame di amore non di ruolo, quando è ridotto a un legame di ruolo allora si impoverisce e si deforma».

IL CARDINALE ZUPPI “SERVE UNA PACE CREATIVA”

Tornando alla questione della pace, il cardinale Matteo Zuppi ricorda l’incarico del 1990, quando con tre amici della Comunità di Sant’Egidio svolse il ruolo di mediatore in Mozambico tra il governo del fronte di liberazione e il partito della resistenza, in una guerra civile che durava da 15 anni. Dopo 27 mesi di trattativa arrivò uno storico accordo. Per tutti questa esperienza ha ispirato il Papa quando l’ha scelto per cercare una strada di pace tra Russia e Ucraina. «Devo specificare che erano quattro mediatori, due della Comunità di Sant’Egidio, il professor Riccardi e io, il rappresentante del governo italiano e un vescovo mozambicano. Lo dico perché se c’è un segreto è quello di utilizzare le varie possibilità utili a portare la pace».

Per il presidente della Cei il Santo Padre non aveva il Mozambico come formula, «aveva piuttosto in mente quell’espressione che ha usato in Ungheria: una pace creativa, cioè inventarsi la qualunque per arrivare alla pace, trovare tutti i mezzi e coinvolgere tutti quelli che possono aiutare, per giungere nella direzione della pace». Non è detto che si riesca a trovarla: «Credo che papa Francesco abbia sufficientemente chiari i propri limiti, i limiti del ruolo del servizio della Chiesa ma anche le proprie responsabilità, che vive e a cui chiama un po’ tutti».