Caro direttore,
le parole del cardinale Matteo Zuppi domenica al Meeting si sono giustamente conquistate le prime pagine. “L’Europa sta facendo troppo poco per la pace”: neppure in quest’occasione al presidente dei vescovi italiani ha fatto difetto un’usuale incisività nell’intervenire su un presente ostico come può esserlo solo “la terza guerra mondiale”. E appare tanto più carico di valore un richiamo all’Europa – e ai suoi cattolici – di cui si è incaricato un cardinale europeo molto vicino a un Papa non europeo, che non ha mai fatto mistero della sua preoccupazione per la situazione dell’Europa e della sua Chiesa.
Il confronto implicito nelle parole di Zuppi appare in effetti reale e problematico. Dell’ultima grande svolta geopolitica – premessa storica di quella in corso in Ucraina – l’Europa e la sua Chiesa furono protagoniste. San Giovanni Paolo II, Papa giunto dall’Europa allora sotto controllo sovietico, fu nei fatti il leader spirituale e geopolitico della promozione della libertà umana e della civiltà democratica dove esse erano state annientate. Rischiò personalmente la vita, il Papa che aveva posto la ricostruzione dell’Europa fra le priorità della sua missione pastorale e storica, quando la caduta del Muro appariva ancora un desiderio utopico. Non fu solo, il Papa polacco: fu accompagnato da un’Europa cattolica vitale, fatta di diocesi, di università, di presenze politiche, di attivismo sociale da parte di realtà associative storiche e di nuovi movimenti. E molto di questo cattolicesimo europeo del tardo secolo ventesimo si ritrovò direttamente impegnato nel creare – con fatica e rischio, anzitutto con fede – ogni condizione utile perché una cortina di ferro estranea all’Europa crollasse alla fine da sola.
Sembrano lontani anche il nome e l’opera di Helmut Kohl. Quaranta giorni dopo la caduta del Muro a Berlino – il cancelliere (cristiano-democratico) tedesco scelse di andare a Dresda. E davanti ai ruderi di una chiesa distrutta dalla guerra fra nazisti e russi, ricorse a una preghiera per il preannuncio della riunificazione della Germania: “Dio benedica sempre la nostra patria tedesca”. Kohl, trent’anni fa, pagò 20 miliardi di dollari all’Urss perché liberasse la Germania Est dalle truppe d’occupazione del Patto di Varsavia (vi militava anche il giovane Vladimir Putin). E decise il cambio alla pari fra il marco dell’Est e quello dell’Ovest anche se questo significava un “piano Marshall” interno alla nuova Germania riunita. Sessantasette milioni di tedeschi occidentali riaccoglievano 17 milioni di tedeschi orientali pagando di tasca propria. E accettavano la contropartita geopolitica chiesta dalla Francia di François Mitterrand: l’unione monetaria in Europa, cioè la nascita della Ue odierna.
Ha ragione il cardinale Zuppi: l’Europa e i suoi cattolici devono interrogarsi a fondo sul loro presente e sul loro futuro.
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